“It took a little time to get where I wanted / It took a little time to get free / It took a little time to be honest / It took a little time to be me”. Comincia così lo splendido ritorno di Villagers (Conor O’Brien), una messa a nudo inaspettata e autentica, a ricordare a tutti che la cosa più difficile, in fondo, è proprio imparare ad essere se stessi. O’Brien lo fa con una musica ridotta all’osso, minimale, che procede per sottrazione (quanto siamo lontani da Awayland!), una scrittura in tono minore, che ci avvolge in luci soffuse, mettendo in risalto parole che invece pesano come macigni, dirette e genuine, le vere protagoniste dell’album, cantate da una voce piena di sentimento, su linee sinuose e sfuggenti. Sembra di assistere, in sole 9 tracce, ad un intero percorso umano (e artistico) per l’auto-accettazione, un percorso che sfiora ogni sfumatura del sentimento, per uno svelamento di sé tanto radicale da far venire i brividi al suo stesso protagonista (So Naïve). La già citata Courage, la ballata Hot Scary Summer, la pungente Little Bigot, la titletrack, le tenui Dawning On Me e No One To Blame, raccontano magistralmente tutte le fatiche del fare i conti con se stessi; sono pezzi illustrati nel comunicato di lancio del disco con una gran profusione di parole dello stesso artista: interpretazioni che preferisco non riportare, essendo questo genere di lotte interiori così universale da far sì che ognuno vi possa trovare il proprio significato. Un gran bel ritorno, un disco da lasciar sedimentare. (Elisa Giovanatti)
[…] gli Yuko, dal Belgio, che vi uniscono una gran dose di raffinatezza. Con il bellissimo ritorno di Villagers facciamo una pausa introspettiva: qui trovate Courage, ma andatevi a ascoltare tutto Darling […]
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