Monthly Archives: April 2016

IL PIU’ FUNKY DEL PIANETA

Prince, Milano, November 3, 2009_02 bis 72

Ho visto Prince una sola volta. Nel 2010 a Milano. Un regalo di mio fratello, un grandissimo fan del Genio di Minneapolis. Com’è stato? L’esperienza più funky della mia vita. Forse persino una delle più sexy – per quanto un eterosessuale possa trovate sexy un altro uomo. Io che mi ero perso Hendrix – pur con molti capelli bianchi, l’anagrafe, in questo caso, mi remava contro – avevo davanti a me l’artista che più gli si avvicinava. Prince quella sera, come tutte le altre, fu un chitarrista straordinario capace di fare rivivere in quasi tre ore di concerto l’intera storia del funk e del rock. La musica sgorgava dalla sua chitarra con una spontaneità e una naturalezza mai viste prima. Nota dopo nota conquistava le immancabili distrazioni che affollano ogni concerto che si rispetti. Dopo appena dieci minuti di performance la platea era con lui. Hits o non hits. Il Genio di Minneapolis era uscito dalla lampada per poi rientrarvi velocemente con i suoi fans… Vecchi e nuovi. Benvenuti nel mondo fantastico di Roger Nelson… (testo & foto di Matteo Ceschi)

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DEL SANGRE, IL RITORNO DELL’INDIANO, LATLANTIDE 2016

DEL SANGRE-IL RITORNO DELL INDIANO-cover

Capite anche voi che con un titolo e una copertina così noi di Indiana non potevano non segnalare il nuovo album di Del Sangre, band fiorentina con alle spalle un’esperienza di oltre 15 anni di attività. Il disco inizia proprio con canti pellerossa che introducono il primo brano, L’indiano, che ci rivela di essere dalle parti di un potente folk rock, fra i Gang e Bruce Springsteen, batteria a mille e chitarre distorte: un ottimo biglietto di presentazione a chi non conosce ancora Luca Mirti (voce e chitarra) e Marco Lastrici (basso), che qui si sono fatti accompagnare da Fabrizio Morgante alla batteria, Giuseppe Scarpato alla chitarra e da altri validissimi musicisti. Il ritorno dell’indiano scorre velocemente lungo percorsi dalle trame western (la ska Successe domani), politiche (un bello squarcio chitarristico apre  l’intensa ballata dedicata a Gaetano Bresci, l’anarchico che nel 1900 uccise a Monza il re d’Italia Umberto I di Savoia, e si chiude con un assolo di chitarra con i fiocchi), o personali (la languida canzone “di formazione” Scarpe strette). Divertente la conclusiva Sebastiano. Tolti alcuni testi non proprio originali, l’album dei Del Sangre ha il merito di proporre un ottimo rock, in un momento in cui il genere non sembra più essere di moda. (Katia Del Savio)

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PIN CUSHION QUEEN, SETTINGS_1, AUTOPRODUZIONE 2016

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Volentieri segnaliamo Settings_1, il primo appuntamento di Settings (3 Ep di 3 brani ciascuno), a sua volta parte di una trilogia iniziata coi personaggi di Characters (2011) e che si concluderà con Stories. Un progetto ambizioso, dunque, affrontato senza alcuna paura dal trio bolognese Pin Cushion Queen, che in questa prima tappa offre una raccolta di sfondi, ambientazioni, scenografie; tre pezzi molto diversi l’uno dall’altro – stratificato e a tratti dilatato Background, cupo e ossessivo Mechanical Liars, malinconico e sottilmente ostile Cracks In The Ice – che sviluppano tuttavia principi compositivi comuni, derivati da generi strumentali come la colonna sonora o certa elettronica: fra questi la ripetizione, che si manifesta in tutti e tre i pezzi (e in maniera più che evidente nello scenario industriale di Mechanical Liars) attraverso loop di chitarra, pattern ritmici o brevi motivi melodici, su cui si innesta il cantato. Nel complesso, un quarto d’ora di musica molto interessante, che lascia ben sperare per i prossimi capitoli. (Elisa Giovanatti)

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EXPLOSIONS IN THE SKY, THE WILDERNESS, TEMPORARY RESIDENCE 2016

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Splendido ritorno per gli Explosions In The Sky in un anno particolarmente felice per gli amanti del post-rock (The Wilderness è uscito lo stesso giorno di Atomic dei Mogwai, e recentissimi sono i nuovi lavori dei Tortoise e dei Godspeed You! Black Emperor). La formazione texana negli ultimi tempi si è dedicata alla composizione di colonne sonore – un territorio non estraneo alle band che si esprimono in questo genere, per sua natura molto evocativo – e non ha smesso di esplorare, cercando un nuovo linguaggio con cui esprimersi. Il risultato è un album che davvero ridefinisce l’estetica del quartetto, con una musica che raggiunge l’effetto e l’impatto emozionale tipico degli EITS ma lo fa percorrendo strade diverse, nuove. The Wilderness è un disco fatto di piccolissimi dettagli, che l’ascoltatore scopre mano a mano che ci si immerge (e ne scoprirà di nuovi tornando all’ascolto una seconda volta, e poi ancora): rifiniture, minuzie, particolari nascosti dietro ogni angolo, che a differenza dei noti andamenti “ad esplosione” caratteristici della band di Austin contribuisce piuttosto a costruire una sorta di ripiegamento interiore. Brevi spruzzate elettroniche, incursioni nell’ambient, silenzi (o quasi), sono alcuni dei tanti piccoli gesti usati a mo’ di punteggiatura nel libero fluire dell’emozione. È qui, nei dettagli, che si manifesta come fattore determinante una delle novità di The Wilderness, ovvero l’utilizzo dell’elettronica (efficace anche quando impiegata come tappeto sonoro, certo, ma raffinatissima sulla piccola scala). Poi, per carità, non mancano esplosioni e cavalcate, ma per una volta gli apici emozionali del disco non stanno tanto in queste strutture quanto piuttosto nella costruzione complessiva di un’epica trattenuta, sommessa. L’album si sviluppa come una sorta di arco che raggiunge il suo culmine nelle tracce centrali (Logic For A Dream e Disintegration Anxiety sono fra i brani più incisivi), partendo piano con la bellissima titletrack e congedandosi dolcemente dall’ascoltatore con l’altrettanto bella Landing Cliffs; nel mezzo la luminosità di The Ecstatics, la delicatezza di Losing The Light, la frenesia di Tangle Formations, e così via, in un susseguirsi di paesaggi sonori in cui si accumulano le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi. Bentornati Explosions In The Sky. (Elisa Giovanatti)

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MANUEL VOLPE & RHABDOMANTIC ORCHESTRA, ALBORE, AGOGO RECORDS 2016

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La voce è una, quella calda, profonda e avvolgente del marchigiano Manuel Volpe, eppure sembrano tante, perché i luoghi di questo Albore sono molteplici (dall’Africa al Mediterraneo), le influenze disparate (spiritual jazz e jazz contemporaneo, poliritmie del Continente Nero, suggestioni medio orientali), l’impasto musicale intricato (ma molto ben intelligibile), con voce e strumenti a scambiarsi di frequente di ruolo. Albore è un lavoro plurale nel senso più bello del termine. È un viaggio eclettico, in spazi fisici ma anche interiori, che sfocia in una sorta di realismo magico, complici i ritmi caldi e sensuali della Rhabdomantic Orchestra. Personalmente, le mie tracce preferite sono la titletrack, Nostril e Atlante, ma è poi la sensazione d’insieme a prevalere alla fine dell’ascolto. L’album è uscito per la prestigiosa label tedesca Agogo Records, un altro tassello di questo bel viaggio. (Elisa Giovanatti)

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MARIANNE MIRAGE, QUELLI COME ME, SUGAR 2016

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Fin da quando era piccola Marianne Mirage ha vissuto una vita immersa nell’arte e nella scoperta di culture diverse. Attrice e cantante, Marianne (vero nome Giovanna) debutta ora con il suo primo album che mescola sonorità e lingue diverse, anche se lo sfondo prevalente è decisamente black, come le r’n’b Lo so cosa fai, cantata con il rapper berlinese Elijah Hook, e Tu per me, o l’hip-hop Messi male. Ciò che rende speciale questo album però sono i due brani cantati in perfetto francese, lingua che con il recentissimo successo di Maitre Gims e l’esplosione negli ultimi anni di Stromae cavalca perfettamente il gusto del momento. Così Excuse-moi e La vie non possono che attirare l’attenzione per la loro freschezza “esotica” e per i loro ritornelli martellanti. Se aggiungiamo la presenza di potenti chitarre rock e di ritmi in levare sparsi ovunque (il bel singolo Game Over è un esempio perfetto di questa commistione), è facile intuire che questo disco ha tutti gli ingredienti per fare breccia nei cuori dei programmatori radiofonici e non solo. (Katia Del Savio)

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