Category Archives: rock-blues

VALERIA VALERIANO: DECLINARE IL RITMO DEL BLUES AL FEMMINILE

Eccoci ritornati, giunti ormai al numero 31 di INDIANA MUSIC MAGAZINE, per il quale ringraziamo la protagonista indiscussa, Valeria Valeriano: nella bella intervista qui raccolta Valeria ci fa conoscere la sua attività di bassista blues-rock e di produttrice, svariando tra modelli di riferimento, attività live e in studio, progetti e molto altro. Vi offriamo poi una selezione di recensioni di produzioni indie italiane e internazionali, da Kishi Bashi a Libero, dai Northwest a Saffelli, e qualche altro consiglio sul finale. Buona lettura quindi, basta cliccare sulla copertina!

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50 ANNI DI “KICK OUT THE JAMS!”

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Dopo due interviste (una via mail e una via Skype, quest’ultima per il mio libro Un’altra musica. L’America nelle canzoni di protesta), finalmente riesco a spuntare dalla lunga lista delle “cose da fare nella vita” l’incontro con Wayne Kramer, membro fondatore degli MC5, storica band del Midwest legata al gruppo radical White Panther Party di John Sinclair. L’attesa, ci premo fin da subito a dirlo, è valsa la pena. In tour con un gruppo di affiatati amici (Kim Thayil dei Soundgarden; Marcus Durant dei Zen Guerrilla; Brendan Canty dei Fugazi; e Billy Gould dei Faith No More), Wayne Kramer sta portando in giro per gli States e per l’Europa l’album Kick Out the Jams, registrato nell’ottobre del 1968 alla Grande Ballroom di Detroit. L’occasione di celebrare il cinquantesimo anniversario della storica incisione per la Elektra fornisce al sempre militante Brother Wayne la buona scusa per alimentare nel pubblico la voglia di opporsi alle brutture e alle ingiustizie dell’attualità A guidarlo e a guidare i fans allora come oggi c’è la musica, quella più sana, sincera e, lasciatemelo sottolineare, indipendente: <La creatività e l’arte hanno sempre provocato forme di Resistenza e continueranno a farlo.>

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Il concerto punta tutto sulla tracklist di Kick Out the Jams ma non fa mancare agli ascoltatori anche altri brani del repertorio degli MC5. Musicalmente, mi sento tranquillo nel dirlo, la formazione sul palco dell’Alcatraz di Milano suona decisamente all’altezza di quella originaria e a tratti quasi pare mettere la freccia e sorpassare la line-up sessantottina: in questo, senso, Kim Thayil non fa rimpiangere Fred Sonic Smith e la sezione ritmica quasi sempre suona più massiccia e arrabbiata di quella dei tardi Sixties. Un discorso a parte, non me ne vogliano i puristi, va fatto per quel gigante di Marcus Durant, la cui voce pare non temere nulla né dal passato né dal futuro come ben si intuisce da Let Me Try uno dei brani del bis. Un concerto intenso, seppure non lunghissimo, per un pubblico attento e preparato. Poco importano i numeri, in questo caso. Immancabile, alla fine della performance l’incontro con Wayne e la consegna di una copia del mio Un’altra musica. L’America nelle canzoni di protesta tra sinceri abbracci di chi ancora crede di cambiare le cose e scambi di battute militanti. Insomma, una serata in perfetto stile <Kick Out the Jams… Motherfuckers!> (Matteo Ceschi)

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MEGANOIDI, DELIRIO EXPERIENCE, LIBELLULA MUSIC 2018

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Inutile perdersi in presentazioni, meglio lasciare partire Delirio Experience e trovare la giusta lunghezza d’onda per farsi coinvolgere dalla band genovese. Sono passati anni dagli esordi discografici, ma i Meganoidi non sembrano avere perso neanche una caloria dell’energia che li aveva sospinti fuori dall’underground fino ad arrivare all’attenzione di un pubblico più ampio. C’è, evidentemente, l’ombra saggia della maturità su questo sesto lavoro in studio che porta a riflessioni  su quanto accade nella quotidianità a partire dal personale per arrivare fino a una visione più ampia della società. Il rock incalzante di Tutto è fuori controllo è un modo di dare forma alla caos e alla cacofonia di una quotidianità che troppo spesso pare avere perso la bussola. In Bye bye presente, altro pezzo tirato,  prevale invece una visione più sarcastica del mondo: il ritornello bye bye presente mi han detto che hai da fare per carnevale e non mi seguirai la dice tutta sul dramma di una contemporaneità in fuga da se stessa verso un futuro che non poggia su salde fondamenta. A volere cercare a tutti i costi un paragone nel panorama attuale, direi che quest’ultima eccellente fatica dei musicisti liguri si avvicina molto al mood blues-rock di Mike Ness e dei Social Distortion. (Matteo Ceschi)

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PULA+, FEATURING PULA, 2017

Una voce non eccessivamente roca – quel tanto da esaltare un mood destinato ad aumentare la ruvidezza della scena hip-hop nostrana – basi dal divertito sapore “casserole” e l’ambizione a spingere il rap nella “dimensione più vissuta” del blues, sono le principali skills dell’album dell’artista torinese. Con questo lavoro autoprodotto, Pula+, una volta annunciato di essere libero dalle altrui volontà – in passato, come ricordato ironicamente nel titolo del disco, tante importanti collaborazioni – può imbracciare la chitarra chiamando alla sua corte quei colleghi capaci nella sua visione artistica di sostenerlo nella non facile impresa di definirsi agli occhi degli altri: ecco allora Ezra, già collaboratore dei Casino Royale, affiancarlo per la produzione dell’album, e i due chitarristi Buzzy Lao (INRI) e Anthony Sasso (degli Anthony Laszlo) a irrobustirne l’evidente spinta live. Inutile cercare di stilare la classifica dei migliori brani della tracklist, qualunque scelta facciate il risultato sarà sempre soddisfacente. A me sono piaciute per l’impronta internazionale e la freschezza dei suoni Cerchio di fuoco e Cappello bianco. (Matteo Ceschi)

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ALDO BETTO’S SAVANA FUNK

È con particolare orgoglio che vi presentiamo il ventitreesimo numero di INDIANA MUSIC MAGAZINE dedicato ad Aldo Betto, artista e chitarrista che nella bellissima intervista qui inclusa si rivela in tutta la sua umana profondità, oltre a raccontarci alcuni dei segreti del suo ultimo, splendido lavoro, Savana Funk. Contaminazioni, migrazioni e una contemporaneità complessa e sempre più sull’orlo del baratro sono qui filtrate da una grande sensibilità artistica, che ci lascia ben sperare sulle possibilità della musica di toccare nel profondo l’animo delle persone. E ci sembra proprio questo il filo rosso che unisce anche i dischi scelti questo mese per la sezione recensioni: Cesare Basile, Giacomo Lariccia e Maxïmo Park completano infatti un numero particolarmente intenso. Come sempre il download è gratuito: cliccate sulla copertina qui sopra, buona lettura!

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CESARE BASILE, U FUJUTU SU NESCI CHI FA?, URTOVOX 2017

Sono passati ad occhio e croce due anni dall’ultimo lavoro del musicista siciliano. Mese più o mese meno. Ed ecco, quando meno te lo aspetti, che Cesare Basile torna a farci visita con un album densamente popolato dalle voci della terra d’origine: U fujutu su nesci chi fa? va però ben oltre la semplice claustrofobia dialettale per spingersi ancora una volta verso una definizione che non potrebbe essere altro che mediterranea. Il Mare nostrum, intendiamoci, è inteso da Basile come un’area comune d’incontro senza limitazioni al meticciato culturale e alla comunicazione, un concetto egregiamente espresso da un brano come Ljatura, un’ipnotica melodia che idealmente si protende ad abbracciare la saggezza dei griots africani e il sudore esistenziale dei bluesmen neri americani. Se con U scantu la tradizione sonora isolana per un istante si rafforza, bastano pochi minuti per tornare con la title track ad abbracciare le infinite sfumature della world music che strizza l’occhio al rock. Senza cercare forzati paragoni con cose già ascoltate, il disco di Cesare Basile si presenta come null’altro che un invito a spogliarci dei pregiudizi per poter infine ballare più liberi e leggeri. (Matteo Ceschi)

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AMERIGO VERARDI, HIPPIE DIXIT, THE PRISONER REC. 2016

In questo doppio album dell’artista pugliese c’è molto indie rock anni Novanta ma l’istinto mi spinge più in là di così fino a riabbracciare lo spirito libero di Volo magico di Claudio Rocchi. Quindi ci sono gli anni Novanta ma anche molto più – forse, a ben vedere, solo loro – gli anni Settanta con tutte le loro sfumature/contraddizioni musicali e culturali. Mentirei spudoratamente se annunciassi semplicemente di essere di fronte a un buon album: Hippie dixit spinge il critico e l’ascoltatore a sbilanciarsi ben oltre il già sentito dire, fino a perdersi nelle sue complesse ed affascinanti pieghe sonore. La suite intitolata L’uomo di Tangeri, brano che apre le danze, è un esplicito invito a testare di persona l’incognita del viaggio, sia esso quello fisico o quello trascendentale che inevitabilmente ne consegue. Riprendendo la lezione di Rocchi, Amerigo Verardi non si pone limiti fisici all’esplorazione e così facendo dilata in tutte le direzione le sensazione che nutrono e accompagnano il viaggio. I richiami world non spiccano ma servano a fortificare le fondamenta dell’album in una maniera che non potrà che risultare sorprendente. Brindisi dedicata con cosciente coscienza sentimentale alla natia città abbatte il tabù di Lou Reed e sfronda il rock contemporaneo da ogni residuo pudore nei confronti del passato. Le cose non girano più e A me non basta, con la loro essenza “terrena” chiudono di fatto la tracklist di un percorso affascinante che, però, si percepisce idealmente non accetta la parola “fine”: Amerigo Verardi, si lascia così alle spalle il compiuto e comincia già ad ipotizzare e figurarsi forme e dimensioni dell’incompiuto all’orizzonte. Hippie dixit, un disco coraggioso come la scoperta di un continente. (Matteo Ceschi)

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MOTHER ISLAND, WET MOON, GO DOWN RECORDS 2016

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Dopo l’ottimo esordio dello scorso anno i vicentini Mother Island tornano con Wet Moon, album dal suono caldo, avvolgente, registrato totalmente in analogico da Matt Bordin. Il risultato è più che convincente: il background psichedelico del gruppo si lascia qui invadere da sapori blues e soul, i primi particolarmente adatti ad evidenziare la vena malinconica e cupa che emerge in molti dei brani di questo Wet Moon (la bellissima Heroin sunrise, giusto per dirne uno), gli altri perfettamente udibili nella vocalità di Anita Formilan, voce graffiante, calda ed energica che ispira grandi paragoni. Con episodi di contagiosa immediatezza (On days like these) ed altri di enigmatica interpretazione (La danse macabre, un tuffo in abissi profondi), la proposta dei Mother Island è stratificata quanto basta per incontrare il favore di ascoltatori più o meno esigenti. Vi invitiamo a seguire la band dal vivo, promette davvero bene. (Elisa Giovanatti)

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JACK WHITE, ACOUSTIC RECORDINGS 1998-2016, THIRD MAN REC. 2016

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Se vogliamo dirla tutta, non bisogna essere per forza un fan sfegatato di Jack White per apprezzare la sua opera musicale. Intendiamoci, non stiamo certo parlando di Mozart o Hendrix, giusto per chiarirci, ma solo – e scusate se è poco – di un musicista che ha dapprima saputo rinverdire i fasti chiassosi del garage, quindi ha regalato con una saggia operazione di revival splendore inatteso alla scena folk-rock statunitense. Con il nuovo doppio album – un’antologia che per stessa ammissione dell’autore prende spunto dalle “strimpellate” insieme a Jimmy Page e The Edge (per il documentario It Might Get Loud) e rilegge in chiave acustica quasi dieci anni di carriera – Mr. White pare avere voluto dare maggiore peso a quel lato roots su cui da sempre poggiava la sua epica garage. Nella tracklist c’è spazio per il classico Hotel Yorba, così come per Love Is the Truth, delicato commercial registrato per la Coca-Cola, e City Lights, un inedito dei White Stripes del 2005 completato per l’occasione, una composizione “acida” nelle tonalità ma assolutamente matura nella forma. Presenti, perché più adattabili alla filosofia acustica rispetto al repertorio dei Dead Weather, alcuni dei brani dei Raconteurs. Ampio spazio, trattandosi di un album a firma Jack White III, è lasciato alla più recente produzione solista degli ultimi quattro anni con l’interessante B-side Machine Gun Silhoutte. Tutti i titoli della selezione vedono presenti i compagni di sempre: a partire da Meg e dal fidato amico Brendan Benson. Genitori, cercavate un disco per incuriosire i vostri figli e fargli apprezzare il vero gusto dell’ascolto? Acoustic Recordings fa il caso vostro! Il divertimento, questa volta, sarà assicurato non per una ma, bensì, per ben due generazioni! (Matteo Ceschi)

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VOLVER, OCTOPUS, AUTOPRODUZIONE 2016

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Volver come tornare, Volver come trasformarsi, Volver come il film di Pedro Almodóvar: è a queste suggestioni che si deve il nome della band varesina di Max Vita e soci, di cui segnaliamo con piacere questo primo lavoro. Album dall’affascinante sapore vintage ma di una freschezza tutta moderna, registrato in digitale ma poi lavorato con sperimentazioni analogiche, Octopus regala canzoni energiche, di sicuro impatto, nate dalla penna del succitato Max (cantante e chitarrista) con una matrice classic rock e blues, “sporcata” in un secondo momento – grazie al lavoro della band – da influenze di rock contemporaneo e psichedelia. Due le gemme del disco, Brother e Deepred, ma moltissimi gli spunti interessanti, disseminati in brani come Jackuait e Things I Need. Efficacissimi i piani effettati e i sinth, che danno il meglio nelle lunghe, frequenti digressioni strumentali, ora trascinanti, dirompenti, estrose, ora suggestive, evocative, cinematografiche, sempre di una bellezza sorprendente. (Elisa Giovanatti)

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