Anticipato dal video dalle atmosfere a tratti allucinate e post-realiste di Nari Nari, brano che sembra strizzare l’occhio da una parte a Damon Albarn e dall’altro ai classici dei Depeche Mode, esce il nuovo EP dei francesi Holbrook. Quattro brani per ribadire nel mondo post-pandemico che c’è ancora molto bisogno di musica e occasioni di incontro. Lontani dalla polvere del tempo capace solo di incattivire le persone al bistrot, il trio di multi-strumentisti parigini si agita tra un post-punk morbido e sapienti escursioni indie rock spingendo lo sguardo curioso dell’arte verso gli spazi in ombra della contemporaneità. Borders e Fantasy, il più interessante momento del lavoro con i suoi passaggi narrativi-ritmici, esplicano al meglio questa volontà di abbandonare convenzioni e mode e di suonare sinceramente e decisamente pop(ular). Lo sguardo acuto degli Holbrook è al tempo stesso umano e alieno – ecco una possibile spiegazione del titolo – nella speranza di recuperare e rivalutare quello che nel frattempo è sfuggito per noia e disattenzione alle persone. La già citata alternanza di mood ritmici e la “veste canora” camaleontica di Ali Chafik segnano il successo di un lavoro che non mostra mai segni di stanchezza, anzi, si presenta come un incentivo alla creatività per tutti quelli che si mettessero all’ascolto o volessero salire su un palco per fare musica. (Matteo Ceschi)
Negli ultimi anni hai cominciato ad esplorare con i tuoi lavori anche la musica elettronica senza, però, mai abbandonare le tue radici rock. Niente demoni e dei, uscito per La Siepe Dischi nel 2021 è certamente un buon esempio di questo connubio mai scontato. Come sei arrivato a coniugare i due mondi, quello del rock da cui provieni e quello, appunto, dell’elettronica a cui approdi?
Sono sempre stato un ascoltatore curioso della musica elettronica, ma l’ho sempre sentita distante anni luce dal mio modo di vivere la musica, di trasmetterla, non sono mai riuscito a capirla fino in fondo e mi sono nutrito di cose che in qualche modo andavano a toccare il mio di mondo, per cui ho amato il primo disco dei Suicide, i New Order e certa scena post punk, senza dimenticare gli italianissimi Weimar Gesang… Ma come musicista, compositore, non mi sono mai avvicinato a “quegli” strumenti per una sorta di timore reverenziale e non li ho mai piazzati nei miei dischi. All’alba dei 50 anni qualcosa ha iniziato a cambiare ed il merito va a due artisti che apprezzo da decenni e che mi hanno spinto a vedere l’elettronica da un altro punto di vista ed in qualche modo mi hanno incoraggiato a percorrere quel sentiero fatto di sistemi binari, sto parlando di Mark Lanegan (R.I.P.) e Nick Cave. I loro ultimi dischi mi hanno fatto capire che c’è un mondo intenso, emotivo ed emozionante dietro quegli strumenti solo apparentemente freddi. Da lì ho iniziato ad esplorare e mi si è aperto un universo diverso, fatto di Moderat, The Blaze, Justice, Chet Faker e su tutti, la mia preferita, FKA TWIGS.
Mi pare di ricordare – sono pronto a una smentita – che l’appena citato Niente demoni e dei, con la copertina di Milo Manara, non sia il primo caso che ti vede collaborare con esponenti del mondo della fumetto.
Tutto è iniziato con la mia collaborazione con Tito Faraci (sceneggiatore di fumetti tra i più importanti in Italia, scrittore di romanzi, nonché mio amico) alla realizzazione della scrittura dei testi del primo disco, Le cose cambiano, dopodiché la collaborazione si è saldata a tal punto che negli ultimi due dischi è diventato ufficialmente l’autore unico dei testi delle mie canzoni. Bazzicando il mondo del fumetto, Tito, mi ha catapultato in quell’universo per me fino ad allora popolato solo dai disegni di Andrea Pazienza, Milo Manara, Max Bunker, Magnus, Jacovitti ecc…, insomma cose un po’ datate. Non capacitandomi della mia ignoranza riguardante il “moderno” campo fumettistico, mi ci sono fiondato dentro.
Cosa la musica può ricevere dalle arti figurative e cosa, a sua volta, può restituire al mondo dei disegni e dei disegnatori?
Musica e disegni sono due mondi con parecchie cose in comune: suggeriscono, aprono finestre per fantasticare o per seguire i pensieri uno dopo l’altro. Unendoli, questo meccanismo che è intrinseco nella musica e nell’arte visiva, si potenzia e si arricchisce. La musica può ricevere dalle arti figurative una nuova dimensione visiva e narrativa, mentre il fumetto può ricevere dalla musica una dimensione sonora e emozionale supplementare.
Non mi pento con quell’attacco “assassino” – Non morirò il lunedì al mattino/anche se sembra sempre di più il mio destino – Il giorno dopo l’ultimo giorno e Non basta squarciano le fantasie dell’ascoltatore all’inizio del lato B del LP. Una tripletta di intenti e ipotesi soniche che mettono alla prova i riflessi dell’ascoltatore, una vera rarità nell’attuale panorama musicale italiano. Quali suggestioni hai seguito per costruire questi tre mondi sonori?
Mi fa davvero molto piacere che ti siano piaciute, di solito, il secondo lato di un LP o, se si tratta di un CD, la quinta/sesta traccia, è il momento più critico dell’intero lavoro, si decide se andare avanti o se se ne è avuto abbastanza. La composizione della scaletta del disco ha un’importanza fondamentale, t’impegna come la realizzazione di una canzone, insomma il concepimento della scaletta di un disco è un arte… In particolare, i tre pezzi che citi sono sfaccettature di un unico intento, un intento che in realtà è l’obiettivo di tutto il lavoro. Volevamo fare un disco molto compatto, con una visione chiara e facilmente leggibile sia a livello musicale che a livello testuale, un tuffo nella decadenza new wave degli anni ’80 più scuri…
Musica e società: secondo te quale può essere oggi l’apporto concreto delle canzoni per ritrovare e risollevare una socialità quasi azzerata dall’indifferenza, dall’odio, da ritmi frenetici e, non dimentichiamolo, dal miraggio sociale dei social network? La musica, penso che tu possa condividere il mio punto di vista, è una pura esperienza di condivisione. Lo è stata nel passato, a cominciare dai Sixties con numerose protest songs e ha continuato ad esserlo nei decenni successivi.
Sono d’accordo con te, la musica può avere un ruolo importante nell’aiutare a ricostruire la socialità e a combattere l’indifferenza, l’odio e i ritmi frenetici della vita moderna. Attraverso la condivisione di esperienze ed emozioni comuni, la musica può creare un senso di comunità e connessione tra le persone. Tutti concetti e parole meravigliose, ma se non esistono i luoghi dove condividere, rimangono solo le belle parole, i bei concetti. In Italia non ci sono più i locali dove suonare! O, se ci sono, si sono ridotti a poche presenze, questo è il vero e reale problema attuale; ormai per gli artisti cosiddetti “minori” come il sottoscritto, i posti dove proporre la propria musica sono i bar, i ristoranti e via dicendo…
Tra i vari problemi che affliggono la contemporaneità sicuramente c’è la questione ambientale, una tematica che ha cominciato a interessare artisti già dal secondo dopoguerra e che continua, in varie forme, a vedere coinvolti i musicisti. Moby, tornando alla musica elettronica, è un convinto ambientalista nonché un dichiarato vegano. Qual è la tua posizione a riguardo?
Sono vegetariano dal 1990, ho svezzato i miei tre figli a suon di verdure, tofu, seytan e lenticchie, tra le proteste di nonne e pediatri. Ho una macchina a gas da anni, da prima che il green diventasse di moda e non ho MAI votato PD. Mi sembra di avere una posizione molto chiara…
Il mondo della musica e la professione del musicista come sono cambiati dopo la pandemia e il lockdown?
Il mondo della musica in cui mi muovo io è stato quasi completamente spazzato via dalla pandemia. Un po’ come per i piccoli negozi, strozzati dai lockdown prolungati, dalle grandi catene e da Amazon, anche noi “piccoli” musicisti ci siamo trovati quasi costretti a chiudere baracca e burattini… Molti dei locali dove suonavamo hanno chiuso, molti di quelli che sono rimasti aperti si sono riconvertiti puntando sul cibo e non se la sentono di rischiare una serata che non necessariamente andrà bene in termini di presenze. Oggi io suono molto più di prima in posti piccoli, piccolissimi. Potrebbe essere l’inizio di una nuova tendenza in stile americano che ci porterà ad avere in ogni bar un palco e una band o un musicista che suona? Non so, sono poco ottimista sull’umanità in genere e temo che finiremo per suonare facendo da contorno alla gente che mangia seduta ai tavoli suscitando in loro più fastidio che altro…
(Matteo Ceschi)
– Un ringraziamento speciale a Dischi Volanti per avere ospitato lo shooting fotografico –
Due artisti napoletani si sono aggiudicati i premi del festival Voci Per La Libertà organizzato da Amnesty Italia a Rosolina Mare (Rovigo) lo scorso weekend. Come ogni anno vengono infatti premiati i migliori brani che affrontano temi legati ai diritti umani proposti da artisti emergenti. I Blindur hanno vinto il premio assoluto con 3000x, mentre Donix si è aggiudicata il premio della critica presentando Siriana.
La giuria, composta da giornalisti (era presente anche Katia Del Savio per IndianaMusicMag), da operatori del settore musicale e da rappresentanti di Amnesty Italia ha assegnato anche il premio della sezione big a i Negramaro per Dalle mie parti, canzone contenuta nell’ultimo album Contatto che tratta il tema dei migranti morti in mare. Due rappresentanti del gruppo salentino, Giuliano Sangiorgi e Andro Mariano, si sono esibiti domenica 25 luglio con la canzone vincitrice e con un altro brano. Durante la conferenza stampa, alla quale ha presenziato, fra gli altri, il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, il leader dei Negramaro ha dichiarato: «Ho sempre sognato di dire la mia e il mio posto per dirla è una canzone. A chi dice che dobbiamo cantare e non fare politica rispondo che è la canzone il nostro posto, il posto dove dire certe cose. Se qualcuno vuole risponderci, lo faccia con una canzone». La motivazione del premio è stata: «Dalle mie parti è un inno a un mondo senza discriminazioni e senza confini. Una appello a porre fine alla contrapposizione “mio-tuo” in favore di un’appartenenza e di un’esistenza comuni e condivise. E’ un brano che invita a superare le divisioni acuite da un anno e mezzo di pandemia che ha isolato molte persone e incattivito e fatto sprofondare nel rancore tante altre, convinte, che per difendere i propri diritti sia necessario toglierne ad altri».
Voci per la Libertà è un festival musicale unico, in Italia e probabilmente anche in Europa, per essere esclusivamente incentrato sui temi sociali. Ogni anno cerca inoltre di mantenere alta la qualità degli artisti proposti. Vi proponiamo i brani vincitori dei raffinati Blindur, di Donix (con il suo elettro-rap) e degli stessi Negramaro.
Recital elettrico. Effetto sonoro (ma anche visivo, quello scelto per il titolo dagli ALAN+, Anamorfosi). Avanti. Traccia dopo traccia. Chiedersi quale siano i riferimenti sonori è un esercizio costante che accompagna piacevolmente l’ascolto. Da Firenze, Tony Vivona e Alessandro Casini affrontano la contemporaneità pandemica e post-pandemica con lo spirito dei pionieri di un tardo krautrock che guarda alle malinconie e ai tormenti di Mark Lanegan. Forse in Anamorfosi potremmo addirittura sentire la lezione magistrale degli OfflagaDiscoPax e di una classica contemporanea pacata ma mai arrendevole à la Satie. La title track con le note cadenzante suonate al piano che accompagnano le punture elettriche della chitarra di Alenssando Casini… e Tengo Traccia con quel suo spleen tutto oriental-grunge… esplodono fresche e delicatamente violente come un risveglio frizzante, di quelli che fanno rizzare i peli su tutto il copro… Fino all’ultimo respiro, viene da sospirare citando un’altra traccia, smuovendo la coscienza del giorno. (Matteo Ceschi)
Torna. Torna e ci sorprende. Torna. Natura inquieta e sincretica, Gerardo Balestrieri, visionario musicista cittadino di una Metropolis senza quartieri e confini, per Electro Gipsy Pandemika, torna alle origini. Torna a quella Germania che lo ha visto nascere nel 1971, quella stessa terra che all’elettronica ha saputo trovare un’anima grazie alle cure attente ed affettuose di Ralf Hütter e Florian Schneider. La scelta dell’elettronica, quindi, torna! Eccome se torna! Torna, lo si deve ammettere, tanto più che il disco esce in un periodo di diffusa e persistente tempesta elettrica sul genere umano. Elettricità – Neuroni – Sinapsi – Connessioni – Cortocircuito mediatico – Inquietudine – Ancora Elettricità… Torna. Così come tornano nelle dodici tracce di Electro Gipsy Pandemika tutte le esperienze migranti (e multi-culturali) di Balestrieri. Frammenti di vite in grado di abbracciare suoni elettronici, house music e tecno del Nord con lo scanzonato piglio del Mediterraneo. Tornano, manco a farlo apposta, Anti Social Network e Paracetamolo. Torna qua e là il fascino irresistibile del French Touch (Les Escargots). Ma anche quello mai sopito per l’Oriente e le sua irresistibili sirene (Patanjali). Lui Gerardo Balestrieri… torna e… (ri)torna… per stemperare solitudini e malinconie e restituire all’ascoltatore un senso di (ri)trono alla vita che si prefigura già come un assaggio esagerato del domani. (Matteo Ceschi)
Cominciamo la nostra chiacchierata dal vostro ultimo singolo, Tax Free World: nel brano si può ascoltare un mix perfetto di energia punk classica e melodia pop-core tipiche della scena californiana di fine degli anni Novanta. Mi sono perso qualcosa lungo la strada?
MARKUS KUJAWA: Come darti torto! Ho ascoltato molto i primi album di Weezer. Penso che le nostre melodie pop-core groove provengano proprio da quel gruppo e dalla scena californiana. Ad un certo punto ci siamo chiesti se le nostre canzoni fossero troppo brevi e veloci perché il pubblico potesse veramente memorizzarle ed apprezzarle. Con il nuovo singolo abbiamo in un certo senso lavorato per facilitare l’ascolto, speriamo di esserci riusciti.
Puoi raccontarci qualcosa del video del nuovo singolo?
Buona parte del video, le parti principali, per intenderci, sono state girate a Bruxelles non lontano dal quartiere dove vivo. Juho, il nostro guitar hero, è venuto a trovarmi da Helsinki e abbiamo deciso di girare senza impegno qualcosa un venerdì sera. Siamo andati in una specie di “liceo rock”, una scuola di musica, per chiedere in prestito una chitarra. Non sono sicuro se i ragazzi dell’istituto avessero in mente che la storia sarebbe poi finita sulla pagine di una rivista di musica italiana. Nel video, ci sono anche alcuni filmati del campo estivo organizzato dalla nostra etichetta discografica a Playa del Inglés nelle Isole Canarie.
Che feedback avete avuto e continuate a ricevere per il vostro album Risky Business?
Inutile dire che la risonanza che il disco ha avuto in giro per i circuiti punk non mainstream, nel giro del punk alternativo, nel circuito dei live negli atenei e sulle radio dedicate al punk ci ha reso felici e orgogliosi. Questo significa molto per noi. Anche con il tour live le cose sono andate molto bene: l’anno scorso abbiamo visitato molti paesi europei. Quest’anno, purtroppo, la pandemia ha incasinato non poco i nostri piani.
Che ricordi avete dei primi giorni del lockdown causato dalla pandemia di covid-19? Sono stati dei giorni davvero strani, per usare un eufemismo.
In effetti l’intera primavera è stata davvero molto strana. Personalmente mi sono comunque divertito almeno nei primi giorni e nelle prime settimane perché normalmente non ho la possibilità di spassarmela così tanto a casa in relax. Tuttavia è stato proprio nei primi giorni del lockdown che ci siamo resi conto che avremmo dovuto annullare e posticipare le nostre nuove session di registrazione in studio.
Ritieni che la musica abbia giocato una sua parte nel mantenere la normalità nella vita delle persone? Per farla breve, la musica ha fornito un antidoto (quantomeno temporaneo) contro il covid-19?
Spero proprio che ci sia riuscita. Io ho ascoltato un sacco di radio, in particolare un’emittente che trasmetteva delle ottime cose degli anni ’80, un passatempo, lo ammetto, a cui normalmente non mi dedicato troppo. All’inizio ho persino provato ad unirmi ad alcuni “concerti//jam” in streaming, ma non l’ho trovato un’esperienza gratificante. Questa è l’idea che i sono fatto, ciò non toglie che, invece, altri ne abbiano tratto buone sensazioni.
La pandemia ha sicuramente scombussolato e stravolto il mondo della musica con tour e shows cancellati. Come si ripartirà da questa stop epocale?
Ci vorrebbe il nostro booking agent e la nostra casa discografica per rispondere a questa domanda. Per loro, in particolare i promoter, non è stata e non è tuttora una situazione facile, lo stesso vale per gli organizzatori di eventi. Ad esempio quelli dell’IF Festisval ci hanno confermato l’ingaggio per l’edizione della prossima estate, ammesso che la kermesse nel 2021 esista ancora… Sinceramente spero che i vari governi nazionali siano in grado di sostenere l’intero campo della cultura, ma sarà difficile perché in molti paesi ci sono sicuramente altre priorità oltre alla musica e al punk rock.
Ritengo che la musica per vivere abbia bisogno della dimensione live e la parentesi del web da sola non possa sostenere debitamente le necessità dell’ambiente. Cosa pensi a tale riguardo?
Condivido pienamente. Mi manca la sensazione del basso che vibra e si diffonde in tutto il tuo corpo. E il sudore. Un’esperienza on-line o concerti drive-in sono completamente diversi rispetto agli eventi dal vivo “reali”, quelli tradizionali, per intenderci. È stato comunque bello vedere quanta creatività e innovazioni le persone hanno messo in campo per sostenere e mantenere viva la cultura. Tuttavia, non vedo l’ora di suonare per un pubblico dal vivo non appena la situazione sarà sicura e ci consentirà di farlo.
I fan più sfegatati dei Marlene Kuntz troveranno poco del loro gruppo preferito. Dopo trent’anni Cristiano Godano ha voluto fare tutto da solo, o quasi, realizzando il primo disco a suo nome. Qui il suono è quasi totalmente acustico, scarno, per far emergere con forza il suo io, quello più fragile, più vulnerabile. In Mi ero perso il cuore Godano è in continua lotta fra “ragione e sentimento”, fra i fantasmi della mente e la leggerezza del cuore, fra depressione e paura e la voglia di amare. I tredici brani di questo album, che sembra essere stato scritto durante il lockdown, ma che in realtà è stato registrato circa un anno fa, sono stati realizzati in questo stile “fuori dal tempo” grazie al contributo alla produzione degli amici di vecchia data Gianni Maroccolo e Luca A. Rossi. I duemusicisti hanno anche suonato, insieme a Simone Filippi, l’interro disco, accompagnando Cristiano in questo suo viaggio inedito. Un paio di canzoni hanno addirittura un’impronta country-folk. Chi l’avrebbe mai detto? Si tratta di Com’è possibile, secondo singolo dell’album in cui il cantautore si appoggia a Bob Dylan per dire “La risposta è lassù e soffia nell’aria”. Nella parte finale del video Godano inserisce un omaggio a George Floyd comparendo con la scritta “I can’t breathe”. L’altro è il conclusivo Ma il cuore batte. L’album contiene anche due brani più rock, Lamento del depresso e Panico, ma io mi soffermo su Dietro le parole, ballata acustica di una sincerità disarmante: l’artista dice di sentirsi nudo, debole senza le sue parole e lo fa con un canto acuto e flebile che non si dimentica. Ottimo debutto per un signore che, piaccia o non piaccia, ha fatto la storia del rock italiano degli ultimi trent’anni. (Katia Del Savio)
Costretto ad un inevitabile stop a causa della pandemia di covi-19 che lo ha toccato personalmente, Jackson Browne, il padre dei MUSE (Musicians United for Safe Energy) e dei concerti NO NUKES, si appresta a dare alle stampe un singolo che anticipa l’album previsto per il 2021. Sia sul lato A che sul lato B compaiono canzoni che guardano ancora una volta con interesse e ed evidente preoccupazione all’ambiente e alla sua salvaguardia. In particolare Downhill from Everywhere, pubblicato on-line in concomitanza con il recente Earth Day a seguito di A Litlle Soon to Say, suona come un potente grido di allarme contro l’inquinamento da plastica, tematica urgente e quanto mai attuale. La canzone è stata inserita nella soundtrack del documentario ecologista di Deia Schlosberg, The Story of Plastic, andato in onda su Discovery Channel proprio il 22 aprile in concomitanza con la Giornata Mondiale della Terra. Rock ballad che non si discosta dalla tradizione browneana, Downhill from Everywhere mostra ancora una volta tutta la potenza e l’indipendenza creativa del suo autore e al contempo ci ricorda gli obblighi e i doveri che legano ciascuno di noi al pianeta che ci ospita. Un’uscita discografica militante e al passo con i tempi che guarda al presente senza distogliere lo sguardo e le note dal futuro! (Matteo Ceschi)
Se in un momento difficile per l’umanità intera John McLaughlin ha donato generosamente agli ascoltatori la sua nuova fatica Is That So? per aiutare le persone a resistere a serrate e quarantene, sono numerosi i giovani colleghi che continuano a produrre musica nuova e a distribuirla sugli ormai consueti canali digitali. È il caso degli Stahlwerk, trio jazz elvetico formato dal pianista Dominic Stahl, dal bassista Francesco Rezzonico e dal batterista Tobias Schmid, che con l’omonimo album (Hout Records/Radio SFR2) abbracciano il silenzio di questi giorni regalando un lavoro solido, poetico e magistralmente registrato e mixato. Il più grande merito degli Stahlwerk è, infatti, essere riusciti a ricreare su disco, con l’aiuto di Andy Neresheimer, l’atmosfera di genuina complicità dello studio con tutte le sfumature e i colori dei suoni. E sono propio queste nuances a rendere le dodici tracce che compongono i quattro movimenti un assoluto momento di evasione. Jazz, classica e contemporanea sono un’unica cosa per queste ragazzi di grande talento. Alessandro Zannier in arteOttodix, ritorna invece con Entanglement (Discipline Records) un lavoro che vuole esplorare a 360° il mondo che ci circonda: a cominciare dagli invisibili principi fisici che governano le vite di ogni essere vivente sul Pianeta per finire a con le gesta di personaggi storici come Cristoforo Colombo e Gengis Khan. Il brano ispirato ispirato al grande condottiero mongolo, il migliore momento dell’intera tracklist, suona molto à la Garbo ed apre finestre sulla globalizzazione e ricorda l’importanza delle istanze ecologiste. Nel mondo di oggi connesso (nel bene e nel male) e uploadato, l’artista, molto più di una divinità qualunque, ha ancora qualcosa da dire alla sua gente. (Matteo Ceschi)
Giusto in tempo per gli auguri di Buone Feste arriviamo con il numero 32 di INDIANA MUSIC MAGAZINE, dove raccogliamo alcuni buoni consigli di fine anno e soprattutto incontriamo in una bella intervista i TaxiWars, interessantissima formazione che propone – come nel recentissimo Artificial Horizon – un mix straordinario di free jazz, funk, hip-hop e post-punk. Chiudiamo dunque in bellezza il 2019! Un semplice click sulla copertina qui sopra, e buona lettura!