Category Archives: uscite

OUT OF THE BLUE, PIRATE QUEENS, LOWCOOST RECORDS

Elizabeth Swann, Carina Barbossa, Angelica Teach, Anamaria… Non solo Jack Sparrow, quindi. Se nella fortunata serie hollywoodiana Pirati dei Caraibi, la presenza femminile svolge un ruolo importante nella narrazione, ancor di più lo è nell’album d’esordio degli Out of the Blue intitolato Pirate Queens. Il disco nato da un’idea del polistumentista, compositore, produttore e arrangiatore Giovanni Pollastri e della cantante newyorkese (trapianta in Italia) Annie Saltzman Pini, infatti, esplora in musica le gesta e le scorribande di famose donne pirata. Abbracciata la via degli oceani e quella di una vita fuori legge, le signore cantate da Giovanni e Annie spiccano – a cominciare dall’irlandese Anne Bonny, protagonista dell’omonimo singolo – per le loro vulcaniche personalità e nulla invidiano ai colleghi maschi che terrorizzavano i mari. Anne Bonny, la open track, una sorta di biglietto da vista per il duo, accoglie l’ascoltatore con reminiscenze irish imponendosi con il suo “fluttuante” e a tratti epico folk rock. Lady Mary Killgrew, dedicata alla “piratessa” inglese del XVI secolo, invece, sembra volere fare incontrare in mezzo al Mare dei Sargassi Suzanne Vega e Patti Smith. Sadie Farrell – al momento nessuna parentela risulta con il cantante dei Jane’s Addiction – è il brano che, per i suoi “spruzzi” di blues psichedelico, potrebbe essere perfetto per il prossimo episodio di Pirati die Caraibi. A Hollywood c’è qualcuno in ascolto? Nel complesso, il lavoro di Giovanni Pollastri e Annie Saltzman Pini suona arrembante e coraggioso in ogni suo momento. A chi si mette all’ascolto non resta che capire se, tra le tracce di Pirate Queens, siano nascosti indizi per l’isola del tesoro. (Matteo Ceschi)

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THE THREE BLIND MICE, DAY’S GETTING DARK, BELUGA RECORDS 2022-23

Milanesi con una vocazione spiccatamente europea. E si sente! I The Three Blind Mice allacciano ancora più stretti i loro legami con l’Europa che conta musicalmente, quella del Nord, quella delle idee e del coraggio discografico. Day’s Getting Dark, capitolo “svedese” (il lavoro esce per la Beluga Records di Stoccolma) della band, propone un “sound persuasivo in cinemascope” che proietta un western à la Rodriguez alle latitudini più fredde con l’intento dichiarato di sciogliere il fronte della musica mainstream. E se i pistoleri mariachi si fossero spinti fino alla tranquilla Scandinavia? Ascoltando traccia dopo traccia se ne ha la quasi certezza, datemi retta. Winter e Come Home escono dalle nebbie e fanno un inchino a Jim Jarmusch e Nick Cave lanciando un preciso monito a quanti si avvolgono nel comfort della coperta delle convenzioni: <Cari, l’inverno si farà ancora più rigido e il vostro cencio non vi proteggerà dalla bufera sonica in arrivo!>.  Tra una raffica e l’altra, la band guidata da Manuele Scalia trova un pizzico di pietà bowieniana con l’acida ballad In Cold Blood… Della serie… <Non facciamo prigionieri – non chiedetecelo, per favore – ma non siamo spietati come ci dipingete!> BANG! BANG! BANG! (Matteo Ceschi)     

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GAZE OF LISA, SINONIMI CONTRARI, TERZO MILLENNIO REC. 2021

Sono presenti nel disco – e ciò è un bene, a mio modesto e musicale parere – gli anni Ottanta troppo spesso bistrattati e frettolosamente dimenticati. Bilancia che cita i CCCP è un’esplosione di ricordi che aiuta l’ascoltatore a ritrovare una propria profondità storica capace di tenerlo a galla nel presente. Dei tardi Eighties c’è sicuramente la spavalderia creativa ma un posto speciale in Sinonimi contrari se lo ritagliano un rock à la Bluevertigo e un’elettronica dal DNA assolutamente aggregante e a tratti visionaria (parte del merito al produttore  Valerio Gaffurini). Consci di muoversi su una costruzione sonica ben solida, i Gaze of Lisa azzardano anche escursioni in prossimità del metal con Io contro. Un esordio, quello della band di Matera, che dovrebbe lasciare tutti stupiti per come si è palesato alle nostre orecchie e che potrebbe farci riconciliare per un po’ con la Musica. (Matteo Ceschi)

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AUGUSTINE, PROSERPINE, LA CURA/I DISCHI DEL MINOLLO 2021

Appena ci si posa orecchio, si comincia a provare un attaccamento a questo disco e a nutrire per esso e per la sua autrice un affetto sincero. Proserpine, nuovo creatura di Augustine/Sara Baggini, colpisce per la sua schietta sincerità che trasporta l’ascoltatore verso un cosmo personale in delicato equilibrio tra ciò che la vita dispensa e ciò che, sotto la luce del sole, o se preferite quella riflessa della luna, la stessa vita decide di ritardare o, persino, si rifiuta di dispensare. È un gioco quotidiano con le esistenze quello intrapreso da Augustine insieme a Fabio Ripanucci e Daniele Rotella e a un pugno di altri artisti per scoprire quanta generosità si nasconda tra le note. Rispetto al precedente lavoro Grief and Desire del 2018, in Proserpine le chitarre si ritagliano uno spazio maggiore incidendo a chiare lettere il loro nome nei solchi: lo si intuisce fin dall’attacco della prima traccia Tower Stones, un creatura fantasy la cui anima sonora pare dividersi tra monolitici riferimenti a Kate Bush e slanci verso i mondi sonici bazzicati da PJ Harvey e Björk. La tetra How to Cut Your Veins Correctly prosegue il cammino spingendo Augustine verso un dark teatrale à la Tim Burton – il brano non avrebbe sfigurato nella colonna sonora di Sweeney Todd! Luce e ombre. Chiaro e scuro. La vita, però, scorre come una ninnananna verso le Good News e la conclusione di album decisamente sopra la media. (Matteo Ceschi)

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ALAN+, ANAMORFOSI, URTOVOX 2021

Recital elettrico.
Effetto sonoro (ma anche visivo, quello scelto per il titolo dagli ALAN+, Anamorfosi).
Avanti. Traccia dopo traccia.
Chiedersi quale siano i riferimenti sonori è un esercizio costante che accompagna piacevolmente l’ascolto.
Da Firenze, Tony Vivona e Alessandro Casini affrontano la contemporaneità pandemica e post-pandemica con lo spirito dei pionieri di un tardo krautrock che guarda alle malinconie e ai tormenti di Mark Lanegan. Forse in Anamorfosi potremmo addirittura sentire la lezione magistrale degli OfflagaDiscoPax e di una classica contemporanea pacata ma mai arrendevole à la Satie.
La title track con le note cadenzante suonate al piano che accompagnano le punture elettriche della chitarra di Alenssando Casini… e Tengo Traccia con quel suo spleen tutto oriental-grunge… esplodono fresche e delicatamente violente come un risveglio frizzante, di quelli che fanno rizzare i peli su tutto il copro… Fino all’ultimo respiro, viene da sospirare citando un’altra traccia, smuovendo la coscienza del giorno. (Matteo Ceschi)

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GERARDO BALESTRIERI, “ELECTRO GIPSY PANDEMIKA”, INTERBEAT 2021

Torna.
Torna e ci sorprende.
Torna.
Natura inquieta e sincretica, Gerardo Balestrieri, visionario musicista cittadino di una Metropolis senza quartieri e confini, per Electro Gipsy Pandemika, torna alle origini.
Torna a quella Germania che lo ha visto nascere nel 1971, quella stessa terra che all’elettronica ha saputo trovare un’anima grazie alle cure attente ed affettuose di Ralf Hütter e Florian Schneider.
La scelta dell’elettronica, quindi, torna! Eccome se torna!
Torna, lo si deve ammettere, tanto più che il disco esce in un periodo di diffusa e persistente tempesta elettrica sul genere umano. Elettricità – Neuroni – Sinapsi – Connessioni – Cortocircuito mediatico – Inquietudine – Ancora Elettricità…
Torna.
Così come tornano nelle dodici tracce di Electro Gipsy Pandemika tutte le esperienze migranti (e multi-culturali) di Balestrieri. Frammenti di vite in grado di abbracciare suoni elettronici, house music e tecno del Nord con lo scanzonato piglio del Mediterraneo. Tornano, manco a farlo apposta, Anti Social Network e Paracetamolo.
Torna qua e là il fascino irresistibile del French Touch (Les Escargots). Ma anche quello mai sopito per l’Oriente e le sua irresistibili sirene (Patanjali).
Lui Gerardo Balestrieri… torna e… (ri)torna… per stemperare solitudini e malinconie e restituire all’ascoltatore un senso di (ri)trono alla vita che si prefigura già come un assaggio esagerato del domani. (Matteo Ceschi)

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JACKSON BROWNE, A LITTLE SOON TO SAY/DOWNHILL FROM EVERYWHERE, INSIDE RECORDINGS 2020

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Costretto ad un inevitabile stop a causa della pandemia di covi-19 che lo ha toccato personalmente, Jackson Browne, il padre dei MUSE (Musicians United for Safe Energy) e dei concerti NO NUKES, si appresta a dare alle stampe un singolo che anticipa l’album previsto per il 2021. Sia sul lato A che sul lato B compaiono canzoni che guardano ancora una volta con interesse e ed evidente preoccupazione all’ambiente e alla sua salvaguardia. In particolare Downhill from Everywhere, pubblicato on-line in concomitanza con il recente Earth Day a seguito di A Litlle Soon to Say, suona come un potente grido di allarme contro l’inquinamento da plastica, tematica urgente e quanto mai attuale. La canzone è stata inserita nella soundtrack del documentario ecologista di Deia Schlosberg, The Story of Plastic, andato in onda su Discovery Channel proprio il 22 aprile in concomitanza con la Giornata Mondiale della Terra. Rock ballad che non si discosta dalla tradizione browneana, Downhill from Everywhere mostra ancora una volta tutta la potenza e l’indipendenza creativa del suo autore e al contempo ci ricorda gli obblighi e i doveri che legano ciascuno di noi al pianeta che ci ospita. Un’uscita discografica militante e al passo con i tempi che guarda al presente senza distogliere lo sguardo e le note dal futuro! (Matteo Ceschi)

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CHI NON SI ANNOIA SOPRAVVIVE… GRAZIE ALLA MUSICA

Stahlwerk

Se in un momento difficile per l’umanità intera John McLaughlin ha donato generosamente agli ascoltatori la sua nuova fatica Is That So? per aiutare le persone a resistere a serrate e quarantene, sono numerosi i giovani colleghi che continuano a produrre musica nuova e a distribuirla sugli ormai consueti canali digitali. È il caso degli Stahlwerk, trio jazz elvetico formato dal pianista Dominic Stahl, dal bassista Francesco Rezzonico e dal batterista Tobias Schmid, che con l’omonimo album (Hout Records/Radio SFR2) abbracciano il silenzio di questi giorni regalando un lavoro solido, poetico e magistralmente registrato e mixato. Il più grande merito degli Stahlwerk è, infatti, essere riusciti a ricreare su disco, con l’aiuto di Andy Neresheimer, l’atmosfera di genuina complicità dello studio con tutte le sfumature e i colori dei suoni. E sono propio queste nuances a rendere le dodici tracce che compongono i quattro movimenti un assoluto momento di evasione. Jazz, classica e contemporanea sono un’unica cosa per queste ragazzi di grande talento. Alessandro Zannier in arte Ottodix, ritorna invece con Entanglement (Discipline Records) un lavoro che vuole esplorare a 360° il mondo che ci circonda: a cominciare dagli invisibili principi fisici che governano le vite di ogni essere vivente sul Pianeta per finire a con le gesta di personaggi storici come Cristoforo Colombo e Gengis Khan. Il brano ispirato ispirato al grande condottiero mongolo, il migliore momento dell’intera tracklist, suona molto à la Garbo ed apre finestre sulla globalizzazione e ricorda l’importanza delle istanze ecologiste. Nel mondo di oggi connesso (nel bene e nel male) e uploadato, l’artista, molto più di una divinità qualunque, ha ancora qualcosa da dire alla sua gente. (Matteo Ceschi)

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TAXIWARS: SOPRAVVIVERE AGLI ANNI NOVANTA

Giusto in tempo per gli auguri di Buone Feste arriviamo con il numero 32 di INDIANA MUSIC MAGAZINE, dove raccogliamo alcuni buoni consigli di fine anno e soprattutto incontriamo in una bella intervista i TaxiWars, interessantissima formazione che propone – come nel recentissimo Artificial Horizon – un mix straordinario di free jazz, funk, hip-hop e post-punk. Chiudiamo dunque in bellezza il 2019! Un semplice click sulla copertina qui sopra, e buona lettura!

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HANDSHAKE, AN ICE CREAM MAN ON THE MOON, URTOVOX 2020

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Giovani. Toscani, per l’esattezza fiorentini. E pazzi per i Pink Floyd. Così potrebbero scrivere sul biglietto da visita gli Handshake. Il trio formato da Giulio Vannuzzi, Lorenzo Burgio, Tommaso Giuliani sorprende sia per la naturalezza con cui si inserisce nella galassia del rock psichedelico sia per l’evidente voglia di aggiungere la propria visione ad una storia sonora ben radicata nell’immaginario collettivo e ricca di estimatori. Il lavoro è prodotto molto bene da Samuele Cangi e lo si sente fin dall’ascolto del singolo bold//brash finito nei radar della BBC Radio London: non ci sono “eccessi da studio” e tutto suona come dovrebbe suonare. La migliore qualità di An Ice Cream Man on the Moon è la compostezza sonora capace di contenere le sfumature creative del credo psichedelico senza mai scadere nella sterile esaltazione del genere – una conferma viene da Promises, traccia accattivante con le sue atmosfere oniriche stile Kula Shaker. Unica nota dolente la copertina dell’album: anti-estetica e lontana anni luce dalle accattivanti grafiche che hanno accompagnato l’epopea psych. (Matteo Ceschi)

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