Tag Archives: Alt-J

GENGAHR, A DREAM OUTSIDE, TRANSGRESSIVE 2015

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Album di debutto dei Gengahr – band di North London ancora semi sconosciuta in Italia, nonostante l’apertura della data milanese degli Alt-J lo scorso febbraio, ma già ottimamente accolta in patria – A Dream Outside ha un’apparenza che potrebbe ingannare: melodie psych-pop estremamente accattivanti, unite al falsetto di Felix Bushe, creano motivi in cui si vorrebbe sguazzare per ore, avvolti dalle chitarre effettatissime, note cariche di riverbero che creano ambienti sognanti e fantastici. La prima traccia, Dizzy Ghosts, chiarisce subito quale sia il sound dell’album, con una partenza lieve che sfuma man mano in sonorità più corpose e rock. Seguono, uno dietro l’altro, pezzi che più catchy non si può. Eppure, dicevamo, non c’è solo apparenza: l’atmosfera leggera e sbarazzina non cela del tutto testi a volte inquietanti, più spesso stranianti (popolati da streghe, creature marine, fantasmi, voglie vampiresche e sentimenti non sempre nobili), così come non nasconde piccole increspature del sound, brevi derive quasi noisy (Ember) e, soprattutto, anche molta sostanza. Difficile scegliere i brani migliori: forse Heroine e Lonely As A Shark, di ispirazione vagamente Radiohead, forse She’s A Witch e Bathed In Light, coi loro motivi orecchiabilissimi, ma anche la quasi strumentale Dark Star… Quel che è certo è che arrivati alla fine viene voglia di ricominciare. (Elisa Giovanatti)

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DI OACH, DI OACH, AUTOPRODUZIONE 2015

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Riscoperto in anni recenti, specie nella sua variante più intimista e sussurrata, il folk sta pian piano popolando il suo panorama di tante belle nuove realtà, band lontane dai riflettori e dal clamore che fanno musica di grande qualità e autenticità. Con la freschezza tipica dell’opera prima e la libertà artistica dell’autoproduzione si affacciano in questo contesto anche i Di Oach, giovanissimi vicentini che propongono sonorità prevalentemente acustiche, raffinati intrecci vocali e atmosfere lievi e delicate. Piacevolissimo il primo brano, The Mountain Fox, che rivela subito quanto sia stata assimilata la lezione vocale di Joe Newman degli Alt-J, il cui saliscendi stralunato delle melodie è qui riproposto dal bel timbro caldo di Nicola Traversa. Nella successiva Don’t Know stupisce l’Irish pipe, ma il quartetto del resto pesca in ugual misura in Nord Europa e America; i ritmi lievi sono spesso ulteriormente addolciti dalla seconda voce femminile, mentre quando si fanno più cadenzati ricordano nemmeno troppo da lontano i Mumford & Sons. Il suono del glockenspiel dà un tocco fiabesco e sognate a tutto l’album, che dipinge spaccati di vita quotidiana per immagini evocative più che per racconti. Pagine raffinate si ascoltano in Every Early Morning, Who Won, Who Lost, Stubborn’s Cure e The First Time, il pezzo più americano, un country-blues molto ben riuscito. Si chiude con Like The Oaks, brano da cui prende il nome la band (di Oach, nell’antico dialetto cimbro, è la quercia): nel bell’intreccio di voci si innesta con la massima naturalezza possibile anche la tromba, che svolazza a lungo  senza minimamente scalfire gli equilibri del brano. (Elisa Giovanatti)

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ALT-J, THIS IS ALL YOURS, INFECTIOUS 2014

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Viene da sorridere, perché ce l’hanno fatta. Alla faccia di chi li voleva il solito flop da un successo e poi il nulla, delle attese schiaccianti dopo il Mercury Prize all’esordio (An Awesome Wave, volenti o nolenti, è tra i dischi più significativi degli ultimi anni) e dell’abbandono del bassista Gwil Sainsbury, gli Alt-J (foto di Gabriel Green) superano la prova difficilissima del secondo lavoro. This Is All Yours, pur non perfetto, è esattamente quello che ci voleva, il lavoro di una band che prosegue dritta per la sua strada, grazie a una vena creativa intatta, per la pura gioia del fare musica. Incorniciato dal trittico dedicato a Nara, città giapponese in cui i cervi girano liberamente per i parchi (a rappresentare la libertà creativa della band), This Is All Yours è un mix di artigianato studiato fin nei minimi dettagli e calda umanità: troviamo da un lato il lavoro sul suono, la limatura, la sovrapposizione di strati, la rifinitura maniacale, e dall’altro testi sensuali e passionali, piuttosto che accostamenti nonsense, accentuati dal carisma vocale di Joe Newman, con quel suo cantato tra l’hip hop e il soul, fatto di continui saliscendi, un incedere stralunato, con finti inciampi ed esitazioni; in musica, poi, i frequenti prestiti dalla world music, i momenti “tribali”, anche a commentare i tanti riferimenti alla natura e le sue forze, le strutture spesso sorprendenti dei brani, apparentemente disconnesse, non fanno che amplificare la dimensione istintuale, talora animalesca, dell’album. Un istinto sotto controllo, però, regolato da una logica puramente musicale. Solo così si giustificano certi accostamenti di parole, poste l’una accanto all’altra per un gioco di sonorità, e anche il tanto chiacchierato sample di Miley Cyrus che canta “I’m a female rebel” (da “4×4”) in Hunger Of The Pine è lì per un’unica, semplice ragione: suona bene. C’è, poi, il gusto del gioco: nella pur sensualissima Every Other Freckle, brano molto bello e persino sovraccarico di idee,  non è solo lascivia quella che fa cantare a Newman “turn you inside out and lick you like a crisp packet”, ma anche umorismo. Rispetto al lavoro precedente si accentua l’esplorazione folk (trip folk, del resto, avevano auto definito il proprio stile gli Alt-J), mentre trapela anche una delicata vena cantautorale (la dolcissima Warm Foothills, Pusher). Il rock-blues di Left Hand Free è forse il brano meno interessante, mentre ogni altra traccia sa stupire. A volte criticati per non essere particolarmente innovativi, gli Alt-J hanno dalla loro uno stile personale e parecchio mestiere. This Is All Yours è un ottimo album, che merita di essere ascoltato, pensato, e ascoltato di nuovo. (Elisa Giovanatti)

 

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