Tag Archives: Beatles

FOSCARI, I GIORNI DEL RINOCERONTE, LA CHIMERA DISCHI/TERRE SOMMERSE 2018

Foscari

L’attacco di Particelle, prima track del disco, parte con vaghi richiami agli Smashing Pumpkins per poi aprirsi gioiosamente una finestra sul mondo pop che molto, e dico molto, deve a quel genio che risponde al nome di Cesare Cremonini. Detto questo il disco di Marco Foscari non lascia così facilmente quella radice rock che evidentemente rappresenta una parte importante della formazione del suo autore: Trasparente ne è un ottimo esempio con la chitarra elettrica di Davide Sparpaglia a sostenerne le idee più audaci. Poi, quando meno te lo aspetti, sul finire del disco, arrivano un paio di canzoni “ibride” dall’atmosfera intimista che mantengono alto l’interesse dell’ascoltatore fino all’ultimo secondo: Eliot con le sue pennellate elettriche strizza l’occhio a Samuele Bersani mentre Te lo confesso si perde placidamente tra un ricordo beatlesiano e improvvisazioni vocali à la Pino Daniele. (Matteo Ceschi)

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OPETH, SORCERESS, MODERBOLAGET REC/NUCLEAR BLAST 2016

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Si leveranno orde inferocite allo scoccare della mia affermazione. Ma senza alcun timore mi sento libero e sereno nell’asserire che il nuovo corso degli svedesi Opeth e in particolare l’ultima fatica, Sorceress, sono una gran cosa per l’intero panorama musicale. Comunque la vogliate ora etichettare – “progressive” secondo alcuni – la formazione di Stoccolma prosegue imperterrita nella sua parabola artistica infischiandosene, per fortuna mia, di quanti vorrebbero ancora il quintetto scandinavo inchiodato alle radici death metal. Sorceress suona meravigliosamente tanto da volerci subito tornare su: più attenti alle melodie, gli Opeth danno prova non solo di una notevole maestria tecnica ma anche di un profonda conoscenza della rock contemporaneo. Allora non ci si stupisce se capita di ascoltare perfino echi dei Beatles (Strange Brew), degli Zeppelin (The Seventh Sojourn) oppure dei Pink Floyd (A Fleeting Glance). Il secondo CD della versione deluxe, si apre, a conferma dell’eclettico mood vissuto oggi dal gruppo, con un brano, The Ward, dal sapore californiano in stile America! Vi pare poco? A volere aggiungere parole alle note degli Opeth si potrebbe spendere pagine su pagine, ma il web, si sa, esige una puntuale brevità nella comunicazione. Ed allora, come lasciarvi cari lettori, se non esortandovi sinceramente a perdervi tra i solchi dei Sorceress alla scoperta di mondi sonori che potrebbero persino risultarvi famigliari. Il 2016, per il sottoscritto, si chiude con l’album a lungo atteso. (Matteo Ceschi)

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ANDY SHAUF, THE PARTY, ANTI- 2016

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La festa è quella di una piccola cittadina di provincia in cui tutti si conoscono, un house party i cui personaggi sono la ragazza che balla da sola al centro della stanza, con gli occhi di tutti su di lei (Eyes Of Them All), quello che arriva sempre in anticipo (Early To The Party), la coppia sull’orlo del litigio (The Worst In You), l’amico che si lamenta (Begin Again), la ragazza con cui il “narratore” si ritrova a ballare a fine serata e stranamente assomiglia alla sua ex (Martha Sways). Lo sguardo sul tutto è quello empatico, indulgente, di sincera partecipazione, di Andy Shauf, giovane cantautore canadese che finora si era cimentato in lavori di fattura perlopiù casalinga e che oggi approda finalmente in un vero studio di registrazione. Il risultato è un album dalla scrittura delicatissima e insieme sofisticata, che senza dare nell’occhio tiene insieme tanti piccoli dettagli (canto sommesso, pianoforte, chitarre, clarinetto, archi) avvolgendoli in un’eleganza discreta. Tra influssi indie (sprazzi di Belle & Sebastian, per dirne una) e reminiscenze beatlesiane (The Magician, il piccolo gioiello Begin Again), Andy Shauf ci fa davvero partecipare a questa festa, senza dimenticare di emozionarci anche un po’. (Elisa Giovanatti)

 

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C+C=MAXIGROSS, FLUTTARN, TROVAROBATO/VEGGIMAL 2015

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Dopo Singar (cantare) e Ruvain (far rumore) – e dopo un fantastico An Instantaneous Journey con Martin Hagfors, che trovate qui – Fluttarn (fluttuare) chiude la trilogia della Lessinia e apre nuove prospettive nella carriera dei C+C=Maxigross. L’album arriva dopo centinaia di date live in tutta Europa, in cui la formazione ha aperto le porte a diversi musicisti (lo stesso Hagfors, Phill Reynolds, Miles Cooper Seaton e molti altri) e a sperimentazioni continue, mostrando ancora una volta una grande propensione alla ricerca. Ritroviamo molti di questi artisti – e qualche altro nome, Marco Fasolo in primis – in Fluttarn, in cui si scovano anche una miriade di interscambi con gli amori del passato (dai Beatles alla scena di Canterbury, dai Pink Floyd ai Grateful Dead), ma in cui emerge soprattutto il presente luminoso dei C+C. Born Into It, Bruce Skate e Every Time I Listen To The Stones ci fanno immediatamente gioire e siamo solo all’inizio. L’attitudine naif della band è sempre viva, nel gioco e nella manipolazione dei materiali musicali, nelle linee a volte sghembe, nel sapore ironico di certi scorrazzamenti fra i generi, ma è un gioco raffinatissimo, che solo una tecnica solidissima e una piena consapevolezza possono rendere così facile e spontaneo. Forme complesse e anarchiche, fantasie rapsodiche, colpi di genio e arrangiamenti finemente curati sono il coloratissimo risultato di questo libero fluttuare sulle note con tocco quasi magico. Sono tutte sensazioni confermate non solo nell’impegnativo terzetto conclusivo (straordinarie An Afternoon With Paul, Moon Boots e Rather Than Saint Valentine’s Day Part III), ma in ogni singolo brano di questo Fluttarn, in uno svolazzare leggero che fa completamente dimenticare il lavoro che sta dietro a un simile risultato. Ma ormai l’abbiamo capito: non si tratta affatto di uno scherzo. (Elisa Giovanatti)

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THE STRANGE FLOWERS, PEARLS AT SWINE, AREA PIRATA 2015

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Perle ai porci. Sono quelle che gli Strange Flowers hanno distribuito in qualche decennio di carriera, forse senza trovare quello che sarebbe stato un giustissimo riconoscimento. Altre 11 perle arrivano con questo settimo album, magistrale riassunto del percorso della longeva band pisana, ma anche portatore di qualche novità, come il fondamentale ingresso nella line up di Giacomo Ferrari alle tastiere, che rinnova con molta sensibilità e senza scossoni le sonorità dei nostri. Amanti di pop beat, garage rock, psichedelia, Beatles, Neil Young, Pink Floyd, sixties e seventies, troveranno di che divertirsi fra queste 11 bellissime tracce: i vertici del disco si toccano con Watching The Clouds From A Strawberry Tree e la conclusiva, più dilatata, Twins, ma ben oltre la media sono davvero tutti i brani di Pearls At Swine, a cominciare da Alice Stealing Rainbows e Rose Lynn, che nella loro diversità sono entrambe gioielli di melodia e arrangiamenti. Un album vero, sincero, che risveglierà in voi ben più di un ricordo musicale. (Elisa Giovanatti)

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THE THIRST: IL FUNK-ROCK SCUOTE LE STRADE DI LONDRA

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Ruvidi quel tanto che basta da fare risaltare le mille sfumature funk ben al di sopra della prepotente matrice rock, i The Thirst suonano ancora in strada – nell’occasione in cui li ho incontrati e fotografati, nella centralissima Tottenham Court Road – e distribuiscono a mano il loro EP, Laugh with the Sinners. Ma hanno già in cantiere un album (in arrivo entro la fine dell’anno) e l’idea di scuotere la scena musicale inglese ed europea fino a fare rivalutare a noi critici stanche verità date ormai, un po’ per pigrizia e un po’ per mancanza di originalità dei prodotti, per acquisite. A metà esatta tra l’inarrivabile modello di Sly & The Family Stone, la sbarazzina sfrontatezza degli Outkast più sofisticati – per intenderci quelli in cui lo zampino di Andre 3000 è più evidente – l’arcobaleno ritmico di Jamiroquai e un immancabile pizzico di Beatles, il quartetto di Brixton suona senza pregiudizi e complessi e lo fa con la convinzione dei propri mezzi. I brani, dalla street hit, Damn Girl, a Dance, Dance fino a Music Sounds Better, cover degli Stardust, danno più di un’idea di quello che ci si potrà aspettare dal primo lavoro ufficiale. L’affollatissima scena musicale londinese ha mangiato e sputato via migliaia di gruppi, ma il boccone rappresentato dalla band dei fratelli Mensah & Kwame Hart, suona così dolce e prelibato da meritare di essere gustato fino in fondo e di diventare un piatto fisso del menù à la carte della Swinging London 3.0. Il mio consiglio è di ampliare i vostri tour londinesi e di provare a scovarli adesso che siete ancora in tempo di goderveli nella loro intensa ed eccitante versione “buskers”! (Matteo Ceschi)

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FRANZ FERDINAND & SPARKS, FFS, DOMINO 2015

FFS

La collaborazione tra la band di Glasgow capitanata da Alex Kapranos e la storica rock band di L.A. decolla subito sulle note di un teatro canzone esuberante che gioca e si prende gioco degli schemi e del conformismo sonoro: Johnny Delusional, brano che apre le danze, suona a metà tra il David Bowie più pop e Kurt Weill & Bertolt Brecht regalando ottime impressioni a chi si pone all’ascolto. Senza allontanarsi troppo dal palco e dalle sue regole, Call Girl riaccende l’entusiasmo sotterraneo per Marc Bolan ricordando ancora una volta le infinite possibilità della musica, ieri così come oggi. Assolutamente anarchica nelle forme e nei contenuti, Police Encounters, un’irriverente e serrata marcetta capace di accendere la passione per l’illecito. Sul finire del disco The Power Couple accarezza le ambizioni lisergiche di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band riportando FFS alla sua dimensione di una pièce teatrale-musicale. Parole per la chiusura di Piss Off non ce ne sono, le hanno già spese tutte gli artisti dal palco! Per Alex Kapranos & soci non ci sono ripetizioni ma solo schegge impazzite di evoluzione artistica. (Matteo Ceschi)

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SONARS, JACK RUST AND THE DRAGONFLY IV EP, DILRUBA RECORDS 2015

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E se il movimento psichedelico fosse arrivato all’insaputa del grande pubblico fino agli anelli di Saturno? Con ogni probabilità mi dareste ormai come perso in vaneggiamenti fantascientifici. Ma sarei costretto con delicatezza a smentirvi invitandovi a partecipare a un esaltante happening sul gigantesco Titano, una delle lune del pianeta appena nominato. I Sonars – per due terzi inglesi purosangue, i fratelli Paysden, e per un terzo italiano, Serena Oldrati – vengono da Bergamo e portano con loro un’innata e spontanea gioia sonora che, presto o tardi, farà emergere in voi quel côté hippie che manco vi ricordavate di possedere. Le quattro tracce, montate insieme per narrare le peripezie dell’immaginario – non si sa quanto – capitano Jack Rust, non vi opporranno alcuna resistenza e dischiuderanno orizzonti che solo in parte possiamo ritenere terrestri. Il mood del disco non riconduce solo ai Beatles, sempre loro, ma dipinge un percorso artistico che è riuscito a fare di tutta la psicadelia, anche quella più pop, una ragione sufficiente per vivere bene con se stessi. Il brano Dragonfly IV, è il migliore esempio della camaleontiche doti di questo trio che promette già da ora di avviare un’interessante tradizione. (Matteo Ceschi)

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DELLERA, STARE BENE E’ PERICOLOSO, MARTELABEL 2015

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Il secondo lavoro solista di Dellera, bassista degli Afterhours e molto altro, è un vero e proprio atto d’amore per il pop-rock anni ’60 e ’70. Stare bene è pericoloso parteggia smaccatamente per il beat italiano e per il rock internazionale di quegli anni, senza mollare mai quell’ispirazione per un attimo. Più che di un cantautore questo è proprio un disco di un musicista che cura ogni suono e arrangiamento come un proprio figlio, e il brano Maharaja, al quale ha collaborato, fra gli altri, l’ex leader degli australiani Jet Nick Chester, è l’emblema di questa ricerca spasmodica verso il “suono perfetto”. Ma se nel caso di Maharaja il risultato è notevole, in altre canzoni (come ad esempio The Costitution, registrato in Inghilterra, o Testa floreale) questo atteggiamento fa perdere quella spontaneità che era propria del precedente album, il bellissimo Colonna sonora originale. Insomma, troppa carne al fuoco rischia di distrarre l’ascoltatore. In questo senso i brani arrangiati in modo più semplice, come Non ho più niente da dire, sognante ballata cantata in coppia con Rachele Bastrenghi dei Baustelle, Ogni cosa, una volta (scritta per la colonna sonora del film Senza nessuna pietà) o Stare bene è pericoloso, sono i più riusciti, soprattutto nell’ottica di far rivivere i favolosi anni ’60. Ottime, infine le dilatate Siamo argento (riflessione spirituale con uno stile che ricorda molto Cesare Cremonini, e questo è un complimento) e soprattutto Un ultimo saluto, brano lentissimo con una meravigliosa, malinconica, melodia sottolineata dagli archi dell’amico Rodrigo D’Erasmo. (Katia Del Savio)

 

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RUDY ROTTA, THE BEATLES vs. ROLLING STONES, SLANG MUSIC 2014

Rydy Rotta

Quasi a volere scoprire cinquant’anni dopo le carte della tenzone generazionale tra Beatles e Stones, Rudy Rotta riporta tutto il succo della British Invasion a una più semplice e fruibile questione di 12 bar notes. Per il bluesman piemontese, per i Fab Four e per Jagger & soci, d’altronde, la “musica del diavolo” è l’origine di tutto, la scintilla che ha acceso la miccia e ha fatto esplodere definitivamente il rock così come oggi noi lo conosciamo. Rotta per questo album tributo adotta e rielabora l’idea mashup, unendo con grande maestria e sensibilità quello che in principio nasceva come discograficamente slegato o addirittura opposto: così la mefistofelica Sympathy for the Devil sfuma e rinasce a nuova vita nell’arrembante Come Together. Un unico rimpianto per un disco solido e ben pensato, non assistere all’incontro destabilizzante tra Helter Skelter e Gimmie Shelter. Rimpianto che, però, potrebbe essere estinto a uno dei numerosissimi live che Rudy tiene in lungo e in largo per lo stivale. (Matteo Ceschi)

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