Tag Archives: cantautori

SENNA, SOTTOMARINI, COSTELLO’S 2019

SottomariniUna foto un po’ sfocata mostra due bambini nella vasca da bagno, un momento intimo, familiare, che ben rappresenta l’album d’esordio di Senna. Per dare un ulteriore tocco di nostalgia per l’innocenza perduta il disco è stato registrato su nastro, come si faceva una volta. Carlo Senna, che ha fatto tutto in casa suonando diversi strumenti, si è lasciato aiutare dal fratello Simone al basso, voce e iPad e da Valerio Meloni, voce, batteria, shaker, chitarra acustica. Sottomarini è il classico disco “da cameretta”, ma Senna ha un gusto speciale, che ti far venir voglia di sederti sul pavimento a gambe incrociate vicino a lui. (Katia Del Savio)

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MY FAVOURITE THINGS 2015/KATIA

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Non potevo che partire da loro, dalle gemelle Ibeyi, il cui omonimo disco mi ha piacevolmente tormentata per quasi tutto il 2015. Nella mia playlist dell’anno ho inserito la loro River, primo singolo, ma avrei potuto mettere anche moltissime altre tracce piene di spunti provenienti dai generi più disparati: spiritual, elettronica, r’n’b, hip-hop, soul, jazz, musica etnica afro-caraibica. Il secondo brano appartiene a uno di quei dischi da molti definito fra i più belli dell’anno, DIE di Iosonouncane, e il suo titolo è Carne, brano prog di infinita bellezza e completezza. Il terzo è l’elettro-pop Imperfezione, ottima sintesi del mondo sonoro di Meg, artista che non ha bisogno di presentazioni ma solo di nuovi proseliti a ogni suo nuovo progetto. Divertente, originale, sincera, Meg è un esempio per le nuove generazioni di musicisti e cantautori che vogliono scegliere uno stile tutto loro. Una di questi è senz’altro Mimosa Campironi, attrice che ha debuttato nel mondo discografico con La terza guerra, ottima prova ricca di idee e che qui è rappresentata dalla struggente Fakhita, dedicata a una prostituta. Segue la morbidissima, decadente, a tratti stridente ballata L’ultimo saluto – L’addio tratta dal secondo album da solista di Dellera, bassista degli Afterhours, Stare bene è pericoloso, un disco  che omaggia smaccatamente il rock anni ’60 e ’70. Il pop elettronico dalle venature soul H-Pt1 è il brano perfetto dei Terzo Piano, band di Cava dei Tirreni che ha debuttato con Super Super e che meritava di entrare in questa lista per la sua disarmante orecchiabilità. Il “sorriso sonoro” di Erica Mou emerge prepotente da Niente di niente, estrapolato da Tienimi il posto, un album in cui la cantautrice ci insegna soprattutto come si può giocare con la voce, senza strafare, interpretando fino in fondo una canzone. Impossibile non inserire un pezzo di Sananda Maitreya per rappresentare il 2015 in musica per me. Intervistarlo è stato un onore e I wanna breathe è uno dei pochi brani che nell’ultimo complesso e interessante album The Rise of the Zugebrian Time of Lords ha un legame con la vita precedente dell’artista, quando in sostanza si faceva chiamare Terence Trent D’Arby e non pensava ancora al Post Millennium Rock. Il pezzo parla del caso di Eric Garner, ennesimo afroamericano ucciso da un poliziotto bianco americano. Indecisissima fino all’ultimo su quale traccia scegliere dal loro primo album, 10 e 9, alla fine ho inserito la languida I Santi. Sto parlando di IoelaTigre, duo femminile che alterna punk a ballate dolcissime che aveva già colpito la mia attenzione con il suo primo Ep. Chiudono le mie preferenze due autori diversissimi tra loro: Colapesce, con il suo stratificato elettro-pop Copperfield, tratto dal secondo album Egomostro, tutto da ascoltare, e Salvo Ruolo con Malatempu (disponibile attraverso Bandcamp), prima traccia dell’affascinante Canciari patruni ‘un l’è bittà che racconta il Risorgimento dalla parte delle popolazioni del Sud. Un album folk appassionante sia per le vicende raccontate che per la sua ricchezza sonora creata soprattutto da strumenti acustici. Buon ascolto! (Katia Del Savio)

https://salvoruolo.bandcamp.com/track/malutempu

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ERICA MOU, TIENIMI IL POSTO, AUAND 2015

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Erica Mou si fa ascoltare immediatamente, nel senso che fin dalle primissime note di Tienimi il posto è come se ti prendesse la testa, te la girasse delicatamente per guardarla in faccia, per prestarle immediatamente attenzione. Così fin da Sottovoce il suo timbro preciso, cristallino, asciutto, pronuncia parole chiare, dirette, dalle quali è difficile sfuggire, distrarsi. E questo è un elemento fondamentale in un’epoca in cui le voci, le musiche si affollano, si sovrappongono freneticamente. L’aspetto musicale non è marginale né scontato (pop e non solo con tocchi di elettronica), ma è come se facesse un passo indietro rispetto alla voce. Le emozioni della cantautrice vengono trasmesse come in filo diretto con chi ascolta il disco: in Niente di niente, ad esempio, possiamo cogliere distintamente il sorriso che accompagna Erica nell’ammettere con leggerezza tutte le cose che non conosce (“ma so tutto di te”), così come in Biscotti rotti, delizioso, jazzato, elogio dell’imperfezione. Nell’acustica, delicatissima, titletrack, la precisa scansione delle parole che caratterizza lo stile di Erica, lascia spazio a un cantato più evanescente, creando atmosfere che ben si addicono alle nebbie autunnali. In Quando eravamo piccoli emerge la recente passione di Erica: il soul, un soffice soul, che esprime tutta la nostalgia per l’infanzia; e di nuovo la nostalgia emerge prepotentemente in Se mi lasciassi sola, dall’impronta decisamente ‘60s. Tienimi il posto è un album impegnativo perché, come dicevo all’inizio, ti costringe ad ascoltarlo con estrema attenzione: ci sono pochi ritornelli e tanto flusso di coscienza, nessuna banalità, ma intimità, passione per ciò che la vita riserva, senza avere certezze né verità (“sono vaghi i miei contorni” dice in Niente di niente). (Katia Del Savio)

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INDIANA PLAYLIST APRILE

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Credevate che ci fossimo dimenticati… ma eccoci qui con l’INDIANA PLAYLIST di APRILE! Come sempre c’è l’imbarazzo della scelta: da Imperfezione di Meg, artista antesignana della nuova generazione degli elettro-cantautori e protagonista con un’interessante intervista del nostro MAGAZINE di aprile, alle eleganti sonorità pop-dance dei bolognesi Wolther Goes Stranger, dal jazz-rock-funk di Disco in ferro dei bravissimi Moorder al folk in siciliano di Malutempu sapientemente creato da Salvo Ruolo, dal pop-rock semplice e romantico di Enrico Farnedi (qui in Fammi vedere) al post-punk di Mad Truth degli inglesi The Pop Group (prossimamente recensiti su Indiana), dalle geniali sperimentazioni di Iosonouncane (qui con Carne) all’indie-folk di Courage degli irlandesi Villagers (domani la recensione del loro album sarà online) fino ad arrivare all’hip-hop industriale dei Death Grips (qui con Billy Not Really). In tutto 13 brani da assaporare qui in streaming. Buon ascolto.

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INDIANA PLAYLIST FEBBRAIO

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Dal folk all’elettronica, dal cantautorato al punk, dall’Italia agli Stati Uniti, eccovi la nuova infornata di 10 brani che stanno tormentando le nostre menti indiane questo mese. Ascoltate, condividete e commentate l’INDIANA PLAYLIST DI FEBBRAIO. Continuate a seguirci anche su Facebook e Twitter. Ne approfittiamo per annunciarvi che INDIANA ha superato le 10 mila visite! Grazie a tutti voi. Ora non ci resta che augurarvi un buon ascolto (fate scorrere la barra di Spotify fino in fondo). Matteo Ceschi, Elisa Giovanatti e Katia Del Savio.

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SALVO RUOLO, CANCIARI PATRUNI ‘UN E’ L’BITTA’, CONTRORECORDS 2015

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Per comprendere la copertina western e l’essenza dell’intero disco è meglio partire dalle parole usate dallo stesso cantastorie Salvo Ruolo: “Il nostro far west in verità lo abbiamo avuto. E’ successo.“Canciari patruni ‘un è libittà” (Cambiare padrone non ti dà la libertà) parla del nostro west, della nostra epopea. Di unità o malaunità. Di briganti e partigiani e di anarchici, ed anche di quel risorgimento in nome del quale si è dimenticato di dare voce ai più deboli. Da nord a sud di questa Italia senza memoria”. L’intenzione di Salvo è quindi chiara: raccontare episodi spesso dimenticati o celati persino nei libri di storia sui soprusi e sulle stragi commesse in nome dell’Unità d’Italia nei confronti delle popolazioni del Sud durante il Risorgimento. Un’operazione che ricorda quella fatta dal giornalista e scrittore Pino Aprile nel libro best seller del 2010 Terroni e che qui viene portata avanti attraverso l’uso del dialetto siciliano antico, facendo di Canciari patroni ‘un è libittà una sorta di Crueza de ma siciliana. Un album intenso, che si avvale della produzione di Cesare Basile (anche co-autore di Passannanti e musicista poliedrico) e che inizia mettendo subito le cose in chiaro nella cadenzata Malutempu, con i versi “Sti quattro malandrini du Savoia scannare picciriddi ‘nte panzi di so’ matri futtennu cosi casi e puru fimmini di chiesa” (Questi delinquenti dei Savoia ordinarono di uccidere perfino bambini nel grembo delle madri razziando cose case e donne di chiesa”.) e che si conclude con la tristissima ninna nanna Picchì brisci accussì notti, che narra di una tragica storia d’amore. Salvo Ruolo incarna a tutti gli effetti il perfetto folksinger, che racconta di leggende e storie vere di briganti, prostitute, eroi, intellettuali e artisti siciliani (lo scrittore Ignazio Buttitta e la folksinger Rosa Balistreri nel brano Buttitta e Balistrieri) fornendo all’ascoltatore un importante bagaglio storico-artistico-culturale con l’aiuto della splendida lingua siciliana, della sua voce sanguigna e dal sapiente uso da parte sua e dei musicisti di strumenti come banjo, mandolino, percussioni e slide guitar. (Katia Del Savio)

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CRANCHI, NON CANTO PER CANTARE, IN THE BOTTLE RECORDS 2015

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Nonostante il passare dei decenni la vicenda di Victor Jara, il cantautore cileno torturato e ucciso il 16 settembre 1973, cinque giorni dopo il golpe di Pinochet, viene ancora giustamente ricordata dal mondo della musica. Nel 2000 il cantautore napoletano Daniele Sepe dedicò all’artista un intero album intitolato Conosci Victor Jara?. Ora a omaggiarlo (almeno in un paio di brani) arrivano i Cranchi, formazione padana (i sette elementi provengono da Mantova, Modena e Rovigo), che ha all’attivo due album prima di questo. Il titolo Non canto per cantare riprende proprio il motto di Jara e l’immagine di copertina, realizzata dal pianista del gruppo David Meriggi, si intitola Sogno cileno. I due brani esplicitamente dedicati all’artista cileno sono 11 settembre ’73, data appunto del colpo di stato nel quale morì il presidente Salvador Allende, e Mariposa, ritmata ed evocativa canzone ispirata a El Arado dello stesso Jara dedicata alla libertà, caratterizzata dal suono di un banjo. Per definire il folk del gruppo guidato da Massimiliano Cranchi non si può che riportare le parole con le quali la band si presenta sulla propria pagina web: “E’ canzone d’autore che sa di pianura e di fiume, di gente che vede le montagne ma non le ha mai scalate, che sente il profumo del mare ma non lo ha mai navigato”, definizione che calza alla perfezione per comprendere le atmosfere rallentate, flemmatiche, che i ragazzi riproducono nelle dieci tracce dell’album. Si parte con la ballata esistenziale Il cantico, una serie di preghiere a un “dio che mi dica finalmente chi sono io”, “un dio dei nostri nonni che mi racconti cosa mi sono perso” “il dio degli immigrati che maledica questo inverno” “il dio dei disoccupati che maledica chi sta meglio”, e così via…. Anche in brani dalle tematiche più leggere i Cranchi mantengono una scrittura poetica nel solco della tradizione cantautorale italiana (De Gregori e De André in particolare): “due tavoli distanti noi, mettevano in scena un amore/quando tornai a guardarla, lei era già scesa al fiume/quando provai a pensarla aveva ormai novant’anni/s’invecchia presto ad annegare i sassi”, recita il brano sentimentale L’isola infelice. Ma l’impegno prosegue più avanti con Eroe borghese, titolo che naturalmente richiama la vicenda di Giorgio Ambrosoli, brano coinvolgente non solo per il tema affrontato, ma anche per il suo incalzante rock dal martellante ritornello “Santo subito o criminale/mai eroe prima di morire”. Radici e Storia sono le due colonne portanti di Non canto per cantare, album che contiene anche con Mia madre e mio padre, ispirata a Il vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago. Negli ultimi anni il folk-rock-impegnato (alla Gang, Modena City Ramblers, Yo Yo Mundi, per citarne alcuni), che parla, (qui senza retorica) di operai, partigiani, disoccupati, guerra e libertà era stato messo un po’ da parte dai nuovi cantautori, spinti a comunicare più la propria intimità che a parlare della società. Ben vengano quindi i Cranchi! (Katia Del Savio)

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INDIANA PLAYLIST GENNAIO

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Cari amici di INDIANA, gennaio è agli sgoccioli, ed ecco arrivare al fotofinish la PLAYLIST DEL MESE con le nostre 12 tracce preferite (scorrete la barra di Spotify fino in fondo). Come potrete vedere ce n’è per tutti i gusti. Vi invitiamo a commentare le nostre scelte e, se vi piacciono, a condividerle! Come sempre ogni brano della selezione di INDIANA fa parte di un album recensito sul blog, che potete trovare nell’archivio. Continuate a seguirci anche su Facebook e Twitter. Buon ascolto a tutti dagli Indiani Elisa Giovanatti, Matteo Ceschi e Katia Del Savio.

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LUCIO CORSI, ALTALENA BOY/VETULONIA DAKAR, PICICCA 2015

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In una serata di quelle di decompressione, fra Capodanno e l’Epifania, mi metto ad ascoltare un disco con il desiderio di sentire qualcosa che mi prepari ad affondare un nuovo anno con entusiasmo e fiducia nella musica che gira intorno a questo vivace mondo indie. Mi imbatto nel disco (ops…file musicale) di Lucio Corsi e penso che sia proprio quello che stavo cercando in quel momento: freschezza e originalità, cantautorato leggero e poetico. Il giovanissimo Lucio (21 anni), con il suo ingombrante nome di battesimo, si porta dentro la lezione dei suoi celebri omonimi colleghi e di Rino Gaetano, ma soprattutto mostra di essere fratello minore dei recenti talenti come Vasco Brondi (Le Luci della Centrale Elettrica), Dente e Tricarico. Con Lucio Corsi, e con altri, fra i quali il gruppo L’officina della Camomilla recensito poche settimane fa su Indiana, il cantautorato inaugura un’altra generazione che scrive in modo asciutto, diretto, ironico, surreale, cantato con voci acerbe, che si contrappone (anche se in alcuni casi si serve del suo stile) al grande filone di successo degli ultimi anni: il rap italiano. Altalena boy è un ep di 5 brani, ma è inserito in un unico Cd che contiene anche il precedente ep, Vetulonia Dakar, uscito lo scorso aprile: insieme formano quindi un unico album con un lato A e un lato B. Se si ascoltano i due lati come due lavori distinti, ci si rende conto di come, in pochi mesi, ci sia stata una netta evoluzione. Altalena Boy è un progetto più completo rispetto a Vetulonia Dakar, meno grezzo soprattutto dal punto di vista musicale e più ambizioso con la sua poetica sognante e meno intimista (vedi L’astronave e Migrazione generale dalle campagne alle città). Non a caso c’è lo zampino del produttore Federico Dragona, componente dei Ministri e già curatore di suoni per lo stesso Vasco Brondi e per il duo elettronico Iori’s Eyes. Se volete iniziare il nuovo anno in modo soffice ascoltate Altalena Boy! (Katia Del Savio)

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