Tag Archives: colonna sonora

NICHOLAS BRITELL, MOONLIGHT (ORIGINAL MOTION PICTURE SOUNDTRACK), LAKESHORE RECORDS 2016

Racconto di formazione, storia di una travagliata ricerca di identità (sociale e sessuale), Moonlight è un bellissimo film che racconta l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di Chiron, ragazzo nero cresciuto in un sobborgo difficile di Miami, che cerca faticosamente di trovare il suo posto nel mondo. Figlio di una madre tossica, escluso e perseguitato da compagni crudeli, accolto dallo spacciatore Juan e dalla sua fidanzata, Chiron cresce rifugiandosi prima nel mutismo e poi (da adulto) in una corazza di muscoli, tenendo dentro una silenziosa diversità che non sa esprimere in un contesto che ritiene ostile, un mondo da cui si difende in una difesa che somiglia tanto a una rinuncia. Taciturno, solitario, intrappolato in se stesso, Chiron è un personaggio imploso (salvo cedere ad un’esplosione violenta, forse liberatoria, sicuramente dannosa per sé), la cui vulnerabilità viene raccontata con tocco lieve e lirico dalla regia di Barry Jenkins, che piuttosto che rifugiarsi in facili cliché lascia che il suo protagonista si ripieghi su se stesso e fa parlare i corpi (le luci che li illuminano, gli sguardi, il cibo, il contatto fisico) e la musica. In un ritmo lento, che oggi verrebbe da definire anacronistico e che però è il passo delle emozioni più profonde e del loro lavorio, i microepisodi che compongono il racconto di Moonlight affidano alla fisicità degli attori (in particolare i tre che interpretano il protagonista bambino, adolescente e adulto, Little, Chiron e Black) e ancora di più alla pervasività della musica una comunicazione più diretta e più potente di qualsiasi parola. Laddove Chiron ammutolisce e si sottrae la musica è strabordante, e non in senso riempitivo: forza la struttura del film per far dilagare l’emozione, diventa linguaggio di verità dove non si trovano le parole, fa da valvola di sfogo quando l’emozione è troppo grande da contenere. Potevamo aspettarci un pieno di rap e hip-hop, e invece abbiamo di tutto, dalla blaxploitation anni ’70 a Mozart, da Jidenna alle composizioni originali di Nicholas Britell. Proprio nella partitura di Britell troviamo il cuore e l’anima della musica di Moonlight, il tema che identifica il protagonista, un brevissimo motivo delicato e dolente che si presenta in tre varianti: pochi rintocchi di pianoforte bastano per Little, una minima variazione di intonazione rende il tema di Chiron più pieno e un pochino più triste, ancora più vibrante e grondante malinconia è quello di Black, ma chissà se in tutto quel vibrare non ci sia anche della speranza.

Un altro tema importante è The Middle Of The World, che accompagna una scena fondamentale, quella in cui Juan insegna a nuotare al piccolo Chiron: una fantasia di violini molto efficace, intrisa di un certo senso di transitorietà, come del resto i tanti brevi momenti, effimeri, che compongono la partitura di Britell.

A catapultarci nell’ambiente in cui vive Chiron è però Every N****r Is A Star di Boris Gardiner, canzone che sentiamo nella primissima scena del film: è un pezzo tratto da un film blaxploitation degli anni ’70, recentemente ripreso da Kendrick Lamar, che in un miscuglio di solitudine, senso di esclusione, rabbia, questione razziale, ma anche calore e speranza, stabilisce brillantemente il contesto interno ed esterno in cui si svolgerà la vicenda. È la prima di una serie di musiche non originali utilizzate in Moonlight, con scelte che passano dal Laudate Dominum di Mozart (Vesperae Solennes De Confessore, K339) che accompagna i ragazzini che giocano a pallone a Hello Stranger, hit del ’63 di Barbara Lewis che avvolge l’importantissimo re-incontro con Kevin (amico d’infanzia, primo e unico amore, unica occasione di conoscenza e riconoscimento nello sguardo dell’altro da parte di Chiron), fino a Cucurrucucu Paloma di Caetano Veloso (dichiarato omaggio a Happy Together di Wong Kar-wai) durante il viaggio in macchina di Black. Proprio nell’ambiente chiuso della macchina Black, ormai a sua volta muscoloso spacciatore, fa sfoggio di ascolti hip-hop (Cell Therapy di Goodie Mob e Classic Man di Jidenna) che sembrano voler proiettare, per se stesso e per gli altri, un’idea ipermascolina dell’essere uomo e dell’essere nero.

Da notare in particolare la versione “chopped and screwed” di Classic Man: si tratta di una tecnica di remixaggio, tipica del rap del Sud degli USA, che rallenta la versione originale, ne varia (abbassandola) l’intonazione, e aggiunge spesso qualche ulteriore distorsione che crea atmosfere completamente nuove. Nicholas Britell la utilizza addirittura per il tema di Chiron, che compare anche in una efficacissima versione chopped and screwed. Tornando alla scena qui sopra, un pezzo trendy come quello di Jidenna diventa qui più duro, nelle intenzioni di Chiron, che forse tuttavia mentre crede di fare una cosa ne sta facendo un’altra, come suggerisce lo stesso Jenkins in un’intervista a Pitchfork: rallentare fa sì che le emozioni si mostrino in tutta la loro potenza, rivela sensibilità e pulsioni che diversamente non si notano, espone Black – che pure alza il volume, per sfuggire a una domanda di Kevin – in tutta la sua vulnerabilità. Il cuore di Chiron è pieno di amore, pieno di dolore, e diviso tra i due. Di quell’amore si porta però dietro la possibilità: “tu sei l’unico che mi abbia mai toccato”, dice alla fine Chiron a Kevin, ed è una dichiarazione d’amore, nel nome di quel contatto, l’incontro con l’altro, per cui si può anche attendere una vita intera. (Elisa Giovanatti)

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PAOLO SPACCAMONTI & RAMON MORO, I CORMORANI, DUNQUE/SUPERBUDDA 2016

cormorani

Opera prima del regista Fabio Bobbio, I cormorani – al cinema dal 1° dicembre, si trova ancora in qualche sala – è un racconto di formazione insieme intenso e delicato. Tra film e documentario, segue (quasi letteralmente, perché sembra li insegua con la telecamera) la vita qualunque di due dodicenni colti nel passaggio tra infanzia e adolescenza, in un’estate qualsiasi di una non ben identificata provincia del nord Italia, un tempo che i ragazzini trascorrono un po’ annoiati fra bosco, fiume e centro commerciale, mentre dentro di loro cominciano a farsi strada le ansie della scoperta e del cambiamento. Costruito per sottrazione (non c’è una vera e propria trama, poche e a volte poco udibili sono le parole) il film deve molta della sua capacità di emozionare alla colonna sonora appositamente composta da Paolo Spaccamonti e Ramon Moro, anch’essa essenziale, scarna, ma straordinariamente pregnante. E se per il tipo di creatività di Spaccamonti era per me naturale pensare a uno sbocco cinematografico – non è il primo, per la verità – scopro oggi in Ramon Moro, che non conoscevo, la stessa sensibilità nell’interagire con altre forme di espressione al di fuori della musica: nell’insieme la chitarra del primo e la tromba del secondo (a cui si aggiunga il grande lavoro di produzione di Gup Alcaro) creano intrecci perfetti nell’instaurare un’atmosfera di sospensione e attesa, nel sottolineare tensioni montanti, nel suggerire – e poi sciogliere – grovigli emozionali e poetici, il tutto in maniera sempre discreta, estremamente controllata, mai sovrabbondante. Continuamente oscillante fra il commento in musica (l’espressione per così dire di un punto di vista adulto sulla vicenda dei due ragazzini, di cui mette in risalto tutte le pieghe emozionali) ed il contrappunto alla realtà (un “accompagnamento” al piano della narrazione), la colonna sonora di I cormorani commuove ed emoziona anche senza l’ausilio delle immagini, ma il mio consiglio è di goderne a tutto tondo, davanti allo schermo. (Elisa Giovanatti)

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TEHO TEARDO INCONTRA MAN RAY: INTERVISTA SU INDIANA MUSIC MAGAZINE

Cover-SETTEMBRE 2015

INDIANA MUSIC MAGAZINE torna dopo l’estate con il suo numero 10, un’uscita per noi particolarmente importante: intanto perché abbiamo l’onore di ospitare Teho Teardo, che in una bella intervista ci accompagna all’ascolto del suo nuovo album e ci svela alcune delle mille sfaccettature del suo mondo artistico; e poi, perché con questo numero festeggiamo il nostro primo compleanno da indiani, un traguardo per il quale ringraziamo tutti voi, invitandovi a continuare l’avventura. Per l’occasione presentiamo una nuova grafica per il magazine, ancora più pulita e leggera, impegnandoci a lavorare per migliorare di giorno in giorno. Come sempre spazio anche alle migliori recensioni del mese: Mimosa, Fraser A. Gorman e Tracey Thorn. Il tutto gratis, semplicemente cliccando sulla copertina qui sopra. Buona lettura!

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I BELLADONNA ALLA CONQUISTA DELL’AMERICA

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Già nel 2008 aveva fatto notizia l’inserimento di due loro brani nelle nominations dei Grammy Awards. Ora i Belladonna, quintetto rock romano di casa in Uk e USA, hanno messo a segno un altro colpaccio: il loro brano The God Below è stato scelto per lo spot tv (intitolato Fifty shades of Yellow) per promuovere l’uscita del film Minions, nelle sale italiane dal 27 agosto). Qui di seguito i link al video dello spot e il brano originale della band.

www.youtube.com/watch?v=1CGMiZP5wMk

www.youtube.com/watch?v=gaYENsVItQk

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ATTENTION SLAP, THE ANIMAL AGE, AUTOPRODUZIONE 2015

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Concept album frutto di una fantasia visionaria e di amate letture orwelliane, The Animal Age ci catapulta in un mondo sinistro non troppo dissimile dal nostro: un topo, un coniglio, un asino e un maiale sono i protagonisti – insieme a un Okapi, rivoluzionario su cui sono riposte le speranze di cambiamento – del racconto allegorico che accompagna l’uscita del primo full length degli Attention Slap, lavoro interamente strumentale (salvo qualche inserto vocale in cui la voce, però, è in verità uno strumento aggiuntivo) che con una grande capacità narrativa e insperata immediatezza restituisce il senso di un universo corrotto e opprimente, popolato da loschi personaggi. Chitarre, sassofono, basso, synth e batteria dialogano tra loro in una sapiente e disinvolta commistione di generi, dall’acid-jazz al rock, dal funk al prog, per una musica dal fortissimo impatto visivo, che se non può fare a meno di richiamare il già citato Orwell, sa anche disegnare davanti ai nostri occhi le luci al neon e la contemporaneità dolente di un Hopper. Per la maestria tecnica e la complessità del progetto, questo coraggioso quartetto pavese merita davvero i nostri complimenti. Dal vivo promettono show esplosivi. (Elisa Giovanatti)

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PAOLO SPACCAMONTI, RUMORS, SANTERIA/ESCAPE FROM TODAY 2015

spaccamonti copertina CD

Più della delicatezza malinconica – pur molto presente in vari brani del disco – è il lato oscuro, inquieto e cupo a offrire la giusta chiave di lettura di Rumors, terzo album solista di Paolo Spaccamonti: “non è facile per me spiegare questo disco, credo abbia a che fare con l’assenza e la disperazione, la malattia e il dubbio. Come la tenacia con cui a volte ci si alza dal letto per scansare la pazzia. Tutto il resto è brusio di fondo, chiacchiericcio, rumors…”, spiega Spaccamonti; ed è in Croci/Fiamme, Sweet EN e Il Delinquente Va Decapitato che viene fuori il sofferto tentativo della vita, quella vera, di emergere da quel soffocante strato di quotidianità inessenziale e futile, in uno sforzo immane (ma necessario) di conciliazione fra dentro e fuori, per superare il brusio di fondo e ritrovare noi stessi. Sono pezzi scurissimi, sulfurei, in cui assistiamo a un’irrequietezza montante grazie ad accumuli di linee strumentali e tensione, sferzate metalliche ed espedienti vari, che si fermano appena prima della soglia del rumorismo, in un intelligentissimo e complesso equilibrio espressivo. Sono pezzi così efficaci che ci sorprende, poi, la schiarita di brani come Io Ti Aspetto (un bel dialogo, delicato e malinconico, fra la chitarra di Spaccamonti e il violoncello di Julia Kent) o il vago esotismo di Giorni Contati, le due tracce che più si discostano dal procedimento compositivo alla base dell’album: affastellamento e sovrapposizione di linee strumentali, appunto, in processi di accumulo perfettamente percepibili sin dall’iniziale titletrack o, ancora, in Seguiamo Le Api (e le seguiamo davvero, in mille fili e percorsi diversi). Una grande dimostrazione di maturità, una potente prova di quanto si possa dire senza usare le parole. (Elisa Giovanatti)

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FRANCESCO GAROLFI SI RACCONTA SU INDIANA MUSIC MAGAZINE

FEBBRAIO 2015 cover easy

Eccoci giunti al numero 5 di INDIANA MUSIC MAGAZINE, scaricabile gratuitamente da oggi cliccando sulla copertina. In una lunga intervista Francesco Garolfi racconta passato e presente del suo variegato percorso artistico e svela il suo nuovo Wild (qui il video di presentazione). I dischi prescelti per le recensioni di questo mese sono quelli di Colapesce e Utveggi. Ancora aperto, ve lo ricordiamo, l’INDIANA MUSIC CONTEST: partecipate e contattateci per qualsiasi informazione. Intanto, cliccate sulla copertina per il freedownload!

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TEHO TEARDO, BALLYTURK, SPÈCULA RECORDS 2014

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Reduce dalla collaborazione con Blixa Bargeld, Teho Teardo torna ad una scrittura “visiva”, anche se questa volta per il teatro e non per il cinema: le musiche di questo Ballyturk sono state concepite per l’omonima pièce teatrale del drammaturgo Enda Walsh, presentata in anteprima mondiale a luglio al Festival di Galway e a settembre al National Theatre di Londra; tuttavia, come spesso accade alle colonne sonore di Teardo, le note di Ballyturk abbandonano l’anonimato cui sono condannate le semplici musiche d’accompagnamento e vivono di vita propria. Questo grazie ad un lavoro certosino di composizione e arrangiamento, che pur basandosi su pochissimi elementi penetra con grande profondità nelle emozioni, aderendo perfettamente alle atmosfere dell’opera di Walsh ma al contempo elevandosi verso un destino autonomo. Come già è successo nella produzione più recente di Teardo, lo strumento principe per veicolare ambigue e turbolente emozioni è il violoncello (qui affidato a Lori Goldston, nota per la lunga collaborazione coi Nirvana): dello strumento Teardo valorizza al massimo l’aspetto cupo della sua timbrica, costruendo magistralmente un clima notturno, plumbeo, reso a tratti persino claustrofobico grazie all’utilizzo di andamenti ossessivi e tese iterazioni; anche le aperture di ampio respiro rimangono in bilico, schiacciate dal lavorio sottocutaneo di sottili e continue increspature. L’attore Cillian Murphy impreziosisce con una partecipata declamazione (e la presenza in copertina insieme a Mikel Murfi) un album dal solido background culturale mitteleuropeo. (Elisa Giovanatti)

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