Tag Archives: contemporanea

CHI NON SI ANNOIA SOPRAVVIVE… GRAZIE ALLA MUSICA

Stahlwerk

Se in un momento difficile per l’umanità intera John McLaughlin ha donato generosamente agli ascoltatori la sua nuova fatica Is That So? per aiutare le persone a resistere a serrate e quarantene, sono numerosi i giovani colleghi che continuano a produrre musica nuova e a distribuirla sugli ormai consueti canali digitali. È il caso degli Stahlwerk, trio jazz elvetico formato dal pianista Dominic Stahl, dal bassista Francesco Rezzonico e dal batterista Tobias Schmid, che con l’omonimo album (Hout Records/Radio SFR2) abbracciano il silenzio di questi giorni regalando un lavoro solido, poetico e magistralmente registrato e mixato. Il più grande merito degli Stahlwerk è, infatti, essere riusciti a ricreare su disco, con l’aiuto di Andy Neresheimer, l’atmosfera di genuina complicità dello studio con tutte le sfumature e i colori dei suoni. E sono propio queste nuances a rendere le dodici tracce che compongono i quattro movimenti un assoluto momento di evasione. Jazz, classica e contemporanea sono un’unica cosa per queste ragazzi di grande talento. Alessandro Zannier in arte Ottodix, ritorna invece con Entanglement (Discipline Records) un lavoro che vuole esplorare a 360° il mondo che ci circonda: a cominciare dagli invisibili principi fisici che governano le vite di ogni essere vivente sul Pianeta per finire a con le gesta di personaggi storici come Cristoforo Colombo e Gengis Khan. Il brano ispirato ispirato al grande condottiero mongolo, il migliore momento dell’intera tracklist, suona molto à la Garbo ed apre finestre sulla globalizzazione e ricorda l’importanza delle istanze ecologiste. Nel mondo di oggi connesso (nel bene e nel male) e uploadato, l’artista, molto più di una divinità qualunque, ha ancora qualcosa da dire alla sua gente. (Matteo Ceschi)

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PAOLO SPACCAMONTI & JOCHEN ARBEIT, CLN, BORING MACHINES/ESCAPE FROM TODAY 2018

Arrivo con un leggero ritardo all’ascolto dell’ultimo lavoro di Paolo Spaccamonti e Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten), due talenti eclettici e mai fermi la cui opera d’altronde presuppone e merita un approccio attento, non superficiale. Il titolo dell’album si riferisce alla piazza CLN di Torino, fatta di simmetrie (due fontane dedicate ai fiumi Po e Dora Riparia, due chiese alle spalle), di storia (sede della Gestapo durante l’occupazione tedesca, oggi dedicata al Comitato di Liberazione Nazionale), di arte (vi si svolge una delle scene più famose di Profondo rosso di Dario Argento). Un luogo speciale, quindi, intriso di suggestioni, da cui partono le esplorazioni di Spaccamonti e Arbeit: incontratisi proprio a Torino, i due hanno registrato qualche ora di materiale (pezzi strumentali per due chitarre ed effetti) di cui CLN, con i suoi 7 pezzi, è il distillato; sonorità liquide, distorte, perlopiù scure, vanno a costruire una massa elettrica vigorosa, suddivisa in 7 episodi, che cresce nei dettagli ad ogni ascolto, rivelandosi come singolare risultato di procedimenti rigorosi e libertà improvvisative. Il dialogo fra le due chitarre è un incontro fra due diverse visionarietà, e si ha a tratti l’impressione che l’esplorazione sonora che ne è nata avrebbe potuto continuare ancora per chissà quanto tempo. (Elisa Giovanatti)

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CUCINA SONORA, EVASIONE, TOYS FOR KIDS RECORDS 2017

Evasione come fuga da un luogo, come liberazione da una condizione opprimente o come leggerezza, disimpegno? Sono, forse, tutte queste cose insieme quelle che si trovano nell’album di Cucina Sonora, il progetto solista di Pietro Spinelli, toscano trasferitosi a Berlino, artista di solidissima formazione classica e di più recenti studi di sound engineering, che ha condiviso il palco con artisti come Aucan e Godblesscomputers. Dialogo fra classico e moderno, fra pianoforte ed elettronica, all’insegna della leggerezza e della solarità, Evasione procede prevalentemente su ritmi incalzanti, sostenuti, una sorta di moto perpetuo in cui Spinelli si trova molto a suo agio (fino a correre il rischio, scampato per un soffio, di ripetersi), ma regala emozioni anche laddove rallenta e lascia emergere sprazzi di umanità e preziosa sensibilità: accade per esempio nella bellissima Dissolution, o anche in Cocktail, unica traccia non strumentale del lavoro, che rivisita con classe il trip-hop degli anni ’90 anche grazie alla voce calda e morbida di Ginevra Guerrini. Una voce si era già sentita per la verità nella precedente Sistema Lunare, che esplora uno dei classici tópoi della tradizione elettronica (la luna, appunto, così come gli astri e lo spazio) avvalendosi della registrazione del “Landing a man on the moon” speech di J.F. Kennedy (’61), così come di altri elementi umanizzanti e robotici insieme (conto alla rovescia, procedure di controllo ecc.). Una sensazione di cerebralità senza freddezza pervade tutto il disco, ed era forse il traguardo più difficile da raggiungere per questo tipo di musica: complimenti quindi a Spinelli, alle sue dita che saltellano e si rincorrono sul pianoforte, al suo approccio leggero – che pure nasconde un grande lavoro – e alla sua voglia di giocare. (Elisa Giovanatti)

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PAOLO TARSI: LA MIA STANZA DELLE MERAVIGLIE

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Torna, con un numero breve ma ricco, l’appuntamento con INDIANA MUSIC MAGAZINE: il protagonista di questo mese è Paolo Tarsi, compositore, pianista e organista, allievo di Luis Bacalov, autore e interprete di performance e installazioni presentate in musei, gallerie d’arte, aeroporti; Paolo Tarsi ci presenta qui il suo nuovo lavoro Petite Wunderkammer e ci dà modo di fare una veloce ma intensa puntata nel suo interessantissimo mondo, fatto di musica classica, contemporanea, jazz, rock, elettronica, ma anche di cinema e di arte. A seguire, come sempre, i nostri dischi preferiti: Sampha, Nicolas Michaux e Peter Piek. Per il download gratuito del magazine basta cliccare sulla copertina qui sopra.

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PAOLO SPACCAMONTI & RAMON MORO, I CORMORANI, DUNQUE/SUPERBUDDA 2016

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Opera prima del regista Fabio Bobbio, I cormorani – al cinema dal 1° dicembre, si trova ancora in qualche sala – è un racconto di formazione insieme intenso e delicato. Tra film e documentario, segue (quasi letteralmente, perché sembra li insegua con la telecamera) la vita qualunque di due dodicenni colti nel passaggio tra infanzia e adolescenza, in un’estate qualsiasi di una non ben identificata provincia del nord Italia, un tempo che i ragazzini trascorrono un po’ annoiati fra bosco, fiume e centro commerciale, mentre dentro di loro cominciano a farsi strada le ansie della scoperta e del cambiamento. Costruito per sottrazione (non c’è una vera e propria trama, poche e a volte poco udibili sono le parole) il film deve molta della sua capacità di emozionare alla colonna sonora appositamente composta da Paolo Spaccamonti e Ramon Moro, anch’essa essenziale, scarna, ma straordinariamente pregnante. E se per il tipo di creatività di Spaccamonti era per me naturale pensare a uno sbocco cinematografico – non è il primo, per la verità – scopro oggi in Ramon Moro, che non conoscevo, la stessa sensibilità nell’interagire con altre forme di espressione al di fuori della musica: nell’insieme la chitarra del primo e la tromba del secondo (a cui si aggiunga il grande lavoro di produzione di Gup Alcaro) creano intrecci perfetti nell’instaurare un’atmosfera di sospensione e attesa, nel sottolineare tensioni montanti, nel suggerire – e poi sciogliere – grovigli emozionali e poetici, il tutto in maniera sempre discreta, estremamente controllata, mai sovrabbondante. Continuamente oscillante fra il commento in musica (l’espressione per così dire di un punto di vista adulto sulla vicenda dei due ragazzini, di cui mette in risalto tutte le pieghe emozionali) ed il contrappunto alla realtà (un “accompagnamento” al piano della narrazione), la colonna sonora di I cormorani commuove ed emoziona anche senza l’ausilio delle immagini, ma il mio consiglio è di goderne a tutto tondo, davanti allo schermo. (Elisa Giovanatti)

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PAOLO TARSI, FURNITURE MUSIC FOR NEW PRIMITIVES, CRAMPS/RARA RECORDS 2015

Paolo Tarsi - Furniture music for new primitives (cover)

Per gli amanti di avant pop e musica contemporanea segnaliamo oggi l’ultimo lavoro di Paolo Tarsi, compositore, organista e pianista, collaboratore di artisti quali Tullio Pericoli e Marco Tirelli, compositore di musiche per mostre di Paolo Cotani, Mario Giacomelli, Andy Warhol, autore di performance e installazioni per gallerie e musei d’arte contemporanea, allievo di Luis Bacalov negli studi di composizione di colonne sonore per il cinema. È tuttavia il rapporto con la narrazione scritta quello che Tarsi indaga in questo Furniture Music For New Primitives, uscito per la collana POPtraits Contemporary Music Collection di Cramps Music e l’etichetta Rara Records e ispirato al romanzo Le città della notte rossa (1981) di William S. Borroughs: un testo che qui è punto di riferimento soprattutto sul piano formale, con i brani di Tarsi a restituire a loro modo la scrittura sperimentale dello scrittore Beat, lo sfondo cupo delle tematiche più esistenziali, il senso di alienazione e le scorribande oniriche. Il tutto con un lavoro molto fine di scambi e influenze fra avanguardie colte e linguaggi pop. Lunghissima la lista di collaboratori, dal quartetto Junkfood a Paolo Tofani (Area), da Enrico Gabrielli (Calibro 35, ex Afterhours) a Sebastiano De Gennaro (Baustelle, Le Luci Della Centrale Elettrica), solo per fare alcuni nomi. (Elisa Giovanatti)

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TEHO TEARDO INCONTRA MAN RAY: INTERVISTA SU INDIANA MUSIC MAGAZINE

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INDIANA MUSIC MAGAZINE torna dopo l’estate con il suo numero 10, un’uscita per noi particolarmente importante: intanto perché abbiamo l’onore di ospitare Teho Teardo, che in una bella intervista ci accompagna all’ascolto del suo nuovo album e ci svela alcune delle mille sfaccettature del suo mondo artistico; e poi, perché con questo numero festeggiamo il nostro primo compleanno da indiani, un traguardo per il quale ringraziamo tutti voi, invitandovi a continuare l’avventura. Per l’occasione presentiamo una nuova grafica per il magazine, ancora più pulita e leggera, impegnandoci a lavorare per migliorare di giorno in giorno. Come sempre spazio anche alle migliori recensioni del mese: Mimosa, Fraser A. Gorman e Tracey Thorn. Il tutto gratis, semplicemente cliccando sulla copertina qui sopra. Buona lettura!

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PAOLO SPACCAMONTI, RUMORS, SANTERIA/ESCAPE FROM TODAY 2015

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Più della delicatezza malinconica – pur molto presente in vari brani del disco – è il lato oscuro, inquieto e cupo a offrire la giusta chiave di lettura di Rumors, terzo album solista di Paolo Spaccamonti: “non è facile per me spiegare questo disco, credo abbia a che fare con l’assenza e la disperazione, la malattia e il dubbio. Come la tenacia con cui a volte ci si alza dal letto per scansare la pazzia. Tutto il resto è brusio di fondo, chiacchiericcio, rumors…”, spiega Spaccamonti; ed è in Croci/Fiamme, Sweet EN e Il Delinquente Va Decapitato che viene fuori il sofferto tentativo della vita, quella vera, di emergere da quel soffocante strato di quotidianità inessenziale e futile, in uno sforzo immane (ma necessario) di conciliazione fra dentro e fuori, per superare il brusio di fondo e ritrovare noi stessi. Sono pezzi scurissimi, sulfurei, in cui assistiamo a un’irrequietezza montante grazie ad accumuli di linee strumentali e tensione, sferzate metalliche ed espedienti vari, che si fermano appena prima della soglia del rumorismo, in un intelligentissimo e complesso equilibrio espressivo. Sono pezzi così efficaci che ci sorprende, poi, la schiarita di brani come Io Ti Aspetto (un bel dialogo, delicato e malinconico, fra la chitarra di Spaccamonti e il violoncello di Julia Kent) o il vago esotismo di Giorni Contati, le due tracce che più si discostano dal procedimento compositivo alla base dell’album: affastellamento e sovrapposizione di linee strumentali, appunto, in processi di accumulo perfettamente percepibili sin dall’iniziale titletrack o, ancora, in Seguiamo Le Api (e le seguiamo davvero, in mille fili e percorsi diversi). Una grande dimostrazione di maturità, una potente prova di quanto si possa dire senza usare le parole. (Elisa Giovanatti)

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TEHO TEARDO, BALLYTURK, SPÈCULA RECORDS 2014

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Reduce dalla collaborazione con Blixa Bargeld, Teho Teardo torna ad una scrittura “visiva”, anche se questa volta per il teatro e non per il cinema: le musiche di questo Ballyturk sono state concepite per l’omonima pièce teatrale del drammaturgo Enda Walsh, presentata in anteprima mondiale a luglio al Festival di Galway e a settembre al National Theatre di Londra; tuttavia, come spesso accade alle colonne sonore di Teardo, le note di Ballyturk abbandonano l’anonimato cui sono condannate le semplici musiche d’accompagnamento e vivono di vita propria. Questo grazie ad un lavoro certosino di composizione e arrangiamento, che pur basandosi su pochissimi elementi penetra con grande profondità nelle emozioni, aderendo perfettamente alle atmosfere dell’opera di Walsh ma al contempo elevandosi verso un destino autonomo. Come già è successo nella produzione più recente di Teardo, lo strumento principe per veicolare ambigue e turbolente emozioni è il violoncello (qui affidato a Lori Goldston, nota per la lunga collaborazione coi Nirvana): dello strumento Teardo valorizza al massimo l’aspetto cupo della sua timbrica, costruendo magistralmente un clima notturno, plumbeo, reso a tratti persino claustrofobico grazie all’utilizzo di andamenti ossessivi e tese iterazioni; anche le aperture di ampio respiro rimangono in bilico, schiacciate dal lavorio sottocutaneo di sottili e continue increspature. L’attore Cillian Murphy impreziosisce con una partecipata declamazione (e la presenza in copertina insieme a Mikel Murfi) un album dal solido background culturale mitteleuropeo. (Elisa Giovanatti)

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CHAPELIER FOU, DELTAS, ICI D’AILLEURS 2014

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Apprezzato all’inizio per l’artigianato d’alto livello espresso nella sua musica, Chapelier Fou sta rivelando sempre di più le sue doti di compositore. Lo conferma in Deltas, suo terzo album su Ici D’Ailleurs (distribuito in Italia da Audioglobe): coloratissimo e luminoso come la sua copertina, il lavoro è un compendio di quanto fin qui mostrato dall’artista francese, con quel suo particolare connubio di elettronica e strumenti analogici, complessi beat programmati su cui si inseriscono con la massima spontaneità bellissime melodie di violino; non solo, l’album è un ulteriore passo avanti nella capacità di scrittura del ragazzo di Metz, che seduce col violino (vedi Grand Arctica) ma non teme di sperimentare strutture complesse e inattese o accostamenti stridenti (Pluisme). Senza mai perdere di vista la fruibilità della sua musica (non a caso è molto richiesto per colonne sonore di film e pubblicità), il cappellaio matto riesce a nascondere un’estrema profondità sotto un vestito pop. Notevole la sezione centrale dell’album, consigliato un riascolto dei lavori precedenti. (Elisa Giovanatti)

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