Tag Archives: fusion

SE IL MONDO FOSSE INDIE…

NANO

… Ci sarebbe sicuramente meno omologazione sonora. Forse un’osservazione scontata, ma pur sempre da ribadire in un mondo appiattito sulle impellenti esigenze dei format televisivi. Intendiamoci, i grandi nomi da cui trarre ispirazione sono sempre quelli ma un artista libero dall’assillo dello share e dei like sui social è decisamente più indipendente e libero di sviluppare il proprio gusto. N.A.N.O., all’anagrafe Emanuele Lapiana, membro fondatore dei C.O.D., guarda con uguale affetto a Franco Battiato e ai Tiromancino per realizzare con Bionda e Disperata (FiabaMusic/SELF) la sua visione artistica del mondo. Quattordici brani delicati e ben pensati che lasciano nell’ascoltatore non tanto l’agrodolce gusto del déjà vu, bensì la speranza che, infine, qualcosa nel music business sia ancora vivo e non condizionabile. L’esempio del cammino artistico di Lapiana è Giga, un brano che fa pulsare tutta l’italica creatività pur non tralasciando l’esotismo di un’esterofilia che punta direttamente al nord dell’Europa. Alle esperienza extraeuropee, in particolare a una fusion in stile Carlos Santana, guarda con convinzione ed intenzione Larry Manteca con il suo Zombie Mandingo 2. Il risultato è sorprendentemente funky & cinematografico e accresce nell’ascoltatore il desiderio di vedere i suoni accompagnati dalle immagini. Insomma, lasciate che ve lo ripeta per l’ennesima volta: BE INDIE, BE FREE! (Matteo Ceschi)

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ALDO BETTO’S SAVANA FUNK

È con particolare orgoglio che vi presentiamo il ventitreesimo numero di INDIANA MUSIC MAGAZINE dedicato ad Aldo Betto, artista e chitarrista che nella bellissima intervista qui inclusa si rivela in tutta la sua umana profondità, oltre a raccontarci alcuni dei segreti del suo ultimo, splendido lavoro, Savana Funk. Contaminazioni, migrazioni e una contemporaneità complessa e sempre più sull’orlo del baratro sono qui filtrate da una grande sensibilità artistica, che ci lascia ben sperare sulle possibilità della musica di toccare nel profondo l’animo delle persone. E ci sembra proprio questo il filo rosso che unisce anche i dischi scelti questo mese per la sezione recensioni: Cesare Basile, Giacomo Lariccia e Maxïmo Park completano infatti un numero particolarmente intenso. Come sempre il download è gratuito: cliccate sulla copertina qui sopra, buona lettura!

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MANUEL VOLPE & RHABDOMANTIC ORCHESTRA, ALBORE, AGOGO RECORDS 2016

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La voce è una, quella calda, profonda e avvolgente del marchigiano Manuel Volpe, eppure sembrano tante, perché i luoghi di questo Albore sono molteplici (dall’Africa al Mediterraneo), le influenze disparate (spiritual jazz e jazz contemporaneo, poliritmie del Continente Nero, suggestioni medio orientali), l’impasto musicale intricato (ma molto ben intelligibile), con voce e strumenti a scambiarsi di frequente di ruolo. Albore è un lavoro plurale nel senso più bello del termine. È un viaggio eclettico, in spazi fisici ma anche interiori, che sfocia in una sorta di realismo magico, complici i ritmi caldi e sensuali della Rhabdomantic Orchestra. Personalmente, le mie tracce preferite sono la titletrack, Nostril e Atlante, ma è poi la sensazione d’insieme a prevalere alla fine dell’ascolto. L’album è uscito per la prestigiosa label tedesca Agogo Records, un altro tassello di questo bel viaggio. (Elisa Giovanatti)

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ROCCO LOMBARDI: DA SIDE-MAN A PRIMO CITTADINO DEL RITMO

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Inauguriamo il 2016 con un bellissimo numero di INDIANA MUSIC MAGAZINE dedicato a Rocco Lombardi: il batterista svizzero ripercorre con noi la sua ormai lunga esperienza musicale, dal vivo e in studio, in una lunga intervista che delinea la carriera del nostro attraverso i suoi modelli musicali, un approccio e una sensibilità tutti personali, i lavori registrati in studio – largo spazio all’ultimo album GiG, esordio come solista – e le esperienze live, con amici e compagni di viaggio di lunga data. Un’intervista di cui siamo particolarmente contenti e che vi invitiamo a leggere. A seguire, le recensioni selezionate questo mese: Mèsico, Io e La Tigre, The Chanfrughen. Ma non è tutto! Cliccare sulla copertina per credere.

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MOORDER, MOORDER II, LIZARD 2014

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Con colpevole ritardo ripesco dal 2014 un disco che avevo sbadatamente perso per strada e, fidatevi, val la pena di fare questo passo indietro di qualche mese. I Moorder sono una gustosissima formazione strumentale,  composta da chitarra, trombone, bassotuba, basso e batteria, che propone un mix caleidoscopico di generi e colori, a cavallo fra jazz, rock, funk, spruzzate di post-psichedelia e persino blaxploitation (provare per credere la bellissima, sin dal titolo, Disco In Ferro). L’apertura di questo secondo lavoro, crimsoniana fino al midollo, è affidata a Jesus Zombies Crew, e Fripp (con Levin) è proprio il nome che più di frequente balza alla mente durante l’ascolto dell’album. Non sono, però, i soli paragoni ingombranti, per un disco che, diciamolo subito, non è mai una mera imitazione: John Zorn riecheggia a più riprese, Frank Zappa fa capolino qua e là dall’inizio alla fine, mentre la superba Afro Bones trasuda Pastorius e Weather Report – cui molto deve, qui, l’impiego assieme armonico, melodico e ritmico del basso. L’incessabile dialogo chitarra/trombone, così estroso e dinamico, è uno dei punti di maggiore interesse del disco. I continui cambi di tempo, le sterzate improvvise, possono qualche volta far perdere il senso dell’orientamento, ma ce ne dimentichiamo subito, trascinati dalla veemenza e dalla fantasia vulcanica di Lamborghini e soci. Ciliegina sulla torta il booklet interamente disegnato da Simone Cortesi. Un disco da applausi, complesso, da ascoltare a ripetizione per scoprirne tutta la raffinatezza. (Elisa Giovanatti)

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PARBAT, SEASON OF K2, SEAHORSE RECORDINGS/AUDIOGLOBE 2015

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Da amante delle avventure in quota di Reinhold Messner, non ho saputo resistere né al nome del gruppo né all’invitante titolo dell’album. Da critico, invece, dovrei chiedermi cosa possano mai avere tre ragazzi di Catania in comune con il grande scalatore e con le vette magiche del subcontinente indiano. Comunque la mettiate, i Parbat – la “Montagna del destino”, il Nanga Parbat, vegli su di loro! – sono riusciti a creare con le note quello che in milioni di anni movimenti tellurici e smottamenti hanno sollevato sulle teste del genere umano arrivando a rendere tangibile il concetto elevato di paradiso. Il trio, proprio ispirandosi alle ripide pareti dei monti più alti del mondo, riesce a rendere il metal a tal punto rarefatto da riprodurre nella testa di chi ascolta ogni singola asperità del terreno aprendo la mente al concetto di una fusion dolcemente aggressiva – post-rock la si potrebbe definire – nelle sue nuove forme. Himalaya e 8611– composizione che prende il la dall’altitudine del K2, seconda vetta più alta della Terra – sono brani che mantengono intatta l’epica verticale della corsa al Tetto del mondo che vide europei e asiatici competere nel secolo scorso. I Parbat suonano per rievocare con rispetto tutti coloro che uscirono vincenti e perdenti dall’ardua sfida, ma non solo. Nella loro musica emerge un amore sincero per luoghi lontani che per rimanere magici dovrebbero mantenersi i più incontaminati possibile. (Matteo Ceschi)

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THE BAD MEXICAN, DUE, LIZARD RECORDS 2014

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Messo insieme grazie ad una campagna di crowdfunding su Musicraiser, Due è il secondo album dei Bad Mexican, formazione toscana dal passato death metal, un passato che è ormai solo un lontano ricordo: nel presente dei quattro mariachi, piuttosto, troviamo fin dall’attacco della prima traccia un piglio da vera jam band, che gioca con ritmi e generi musicali grazie a un’inventiva irrefrenabile e strumentisti eccellenti. Pochissimi artisti nel panorama italiano hanno una tale disinvoltura nello spaziare fra rock, funk, jazz core e psichedelia, e ancora meno sono quelli che lo sanno fare con leggerezza, trasmettendo l’idea del puro divertimento. Notevolissima la parte centrale dell’album, in cui Davide Vannuccini guadagna sempre più spazio con sax ed elettronica, mentre le voci di Tommaso Dringoli e Filippo Ferrari si sovrappongono, giocano e si rincorrono, regalando all’album la necessaria rotondità e qualche bella melodia. Dall’inizio alla fine è grande il lavoro di Matteo Salutari alla batteria. Coraggio, caos e follia la fanno da padroni. Chiudiamo con un encomio particolare per l’etichetta Lizard, ancora una volta fautrice di un progetto pregevole, uno dei tanti del suo ormai lungo percorso. (Elisa Giovanatti)

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ROCCO LOMBARDI, GIG, 2014

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Il batterista elvetico dopo lunghe maratone al fianco dell’organista Frank Salis e dei chitarristi Joe Colombo e Luca Princiotta (tutti presenti in veste di guest) e picaresche avventure musicali che lo hanno portato ad attraversare l’Oceano, battezza il traguardo del primo album solista regalando al pubblico un vero e proprio arcobaleno ritmico. Rocco Lombardi riversa senza timidezza in Gig ltutti gli incontri delle sue peregrinazioni producendo un disco di assoluto e gioioso impatto sonoro. All’approccio eclettico e “senza confini” del jazz – fondamentale il contributo dei bassisti Flavio Piantoni e Gian-Andrea Costa – affianca la massiccia presenza del rock tanto da spingere le tracce verso la cosmologia zappiana ed abbracciare la sperimentazione dei King Crimson. Non manca a “sporcare” e rendere quel tanto appiccicosi i brani una venatura funk a metà tra Billy Cobham e Prince. Until the Sun, con la convincente prova vocale di Alessio Corrado, nel mood del miglior Lenny Kravitz, un singolo notturno già pronto per le scalette radiofoniche. (Matteo Ceschi)

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