Tag Archives: indie

OUT OF THE BLUE, PIRATE QUEENS, LOWCOOST RECORDS

Elizabeth Swann, Carina Barbossa, Angelica Teach, Anamaria… Non solo Jack Sparrow, quindi. Se nella fortunata serie hollywoodiana Pirati dei Caraibi, la presenza femminile svolge un ruolo importante nella narrazione, ancor di più lo è nell’album d’esordio degli Out of the Blue intitolato Pirate Queens. Il disco nato da un’idea del polistumentista, compositore, produttore e arrangiatore Giovanni Pollastri e della cantante newyorkese (trapianta in Italia) Annie Saltzman Pini, infatti, esplora in musica le gesta e le scorribande di famose donne pirata. Abbracciata la via degli oceani e quella di una vita fuori legge, le signore cantate da Giovanni e Annie spiccano – a cominciare dall’irlandese Anne Bonny, protagonista dell’omonimo singolo – per le loro vulcaniche personalità e nulla invidiano ai colleghi maschi che terrorizzavano i mari. Anne Bonny, la open track, una sorta di biglietto da vista per il duo, accoglie l’ascoltatore con reminiscenze irish imponendosi con il suo “fluttuante” e a tratti epico folk rock. Lady Mary Killgrew, dedicata alla “piratessa” inglese del XVI secolo, invece, sembra volere fare incontrare in mezzo al Mare dei Sargassi Suzanne Vega e Patti Smith. Sadie Farrell – al momento nessuna parentela risulta con il cantante dei Jane’s Addiction – è il brano che, per i suoi “spruzzi” di blues psichedelico, potrebbe essere perfetto per il prossimo episodio di Pirati die Caraibi. A Hollywood c’è qualcuno in ascolto? Nel complesso, il lavoro di Giovanni Pollastri e Annie Saltzman Pini suona arrembante e coraggioso in ogni suo momento. A chi si mette all’ascolto non resta che capire se, tra le tracce di Pirate Queens, siano nascosti indizi per l’isola del tesoro. (Matteo Ceschi)

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SUDAN ARCHIVES, ATHENA, STONES THROW 2019

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Era dai tempi dei Massive Attack e di Erykah Badu che non mi capitava di mettere orecchio su un prodotto musicale così fresco e votato al futuro. La statunitense Sudan Archives con Athena non solo porta una ventata di innovazione nel panorama pretenziosamente hipster della black music degli ultimi anni, ma spinge il genere – e più in generale l’intrattenimento sonoro – verso una ritrovata consapevolezza nei propri mezzi. Down On Me, non solo invita le nostre voglie musicali a palesarsi e a sbirciare al di là delle mode ma riallaccia concretamente il confronto tra artista e pubblico. La scelta del violino – che Sudan Archives condivide, ad esempio, con jazzisti del calibro di Ben Williams e Ambrose Akinmusire – solo apparentemente scoraggia l’ascolto: in realtà l’uso sapiente dello strumento reso celebre da Vivaldi (doveroso citare Black Vivaldi Sonata) regala ad ognuna delle composizioni dell’album un tocco etereo sufficientemente distante per fare viaggiare la mente di chi si mette in ascolto. Così la libertà d’espressione dell’artista si sovrappone quasi perfettamente a quella del pubblico rompendo ogni schematismo discografico. Athena è l’album che in molti aspettavano di aver tra le mani da tempo… Forse non tutto è perduto… (Matteo Ceschi)

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SE IL MONDO FOSSE INDIE…

NANO

… Ci sarebbe sicuramente meno omologazione sonora. Forse un’osservazione scontata, ma pur sempre da ribadire in un mondo appiattito sulle impellenti esigenze dei format televisivi. Intendiamoci, i grandi nomi da cui trarre ispirazione sono sempre quelli ma un artista libero dall’assillo dello share e dei like sui social è decisamente più indipendente e libero di sviluppare il proprio gusto. N.A.N.O., all’anagrafe Emanuele Lapiana, membro fondatore dei C.O.D., guarda con uguale affetto a Franco Battiato e ai Tiromancino per realizzare con Bionda e Disperata (FiabaMusic/SELF) la sua visione artistica del mondo. Quattordici brani delicati e ben pensati che lasciano nell’ascoltatore non tanto l’agrodolce gusto del déjà vu, bensì la speranza che, infine, qualcosa nel music business sia ancora vivo e non condizionabile. L’esempio del cammino artistico di Lapiana è Giga, un brano che fa pulsare tutta l’italica creatività pur non tralasciando l’esotismo di un’esterofilia che punta direttamente al nord dell’Europa. Alle esperienza extraeuropee, in particolare a una fusion in stile Carlos Santana, guarda con convinzione ed intenzione Larry Manteca con il suo Zombie Mandingo 2. Il risultato è sorprendentemente funky & cinematografico e accresce nell’ascoltatore il desiderio di vedere i suoni accompagnati dalle immagini. Insomma, lasciate che ve lo ripeta per l’ennesima volta: BE INDIE, BE FREE! (Matteo Ceschi)

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PILLOLE INDIANE, TRE DISCHI DA ASCOLTARE

Cover OSSITOCINA 3000X3000

SAFFELLI – OSSITOCINA – OYEZ 2019

Nell’infinito elenco di nuovi cantautori, ormai definiti semplicemente “indie”, che si stanno affacciando sul mercato discografico negli ultimi anni, il nome Saffelli merita una pennellata di evidenziatore. Dopo aver prodotto alcuni singoli, è uscito ora con un ep composto da quattro brani intitolato Ossitocina. Il suo elettro-pop è fresco e mescola immagini quotidiane, perlopiù ambientate nella sua Milano. Così il titolo Alaska non deve ingannare, parla di “viale” Padova, di droga, di master inutili, di paprika e della nebbia che non c’è più. In Amore miope l’inciso spinge di più sulla trap ed entra a pieno nel mondo degli amori giovanili in cui la realtà, levata la patina finta delle foto su Instagram, può risultare deludente. La notte milanese multietnica fatta di tangenziali, insegne, mezzi pubblici che attraversano la città e sogni per il giorno dopo è la protagonista di Fastfood. Il brano più debole dell’EP è quello di chiusura, Una vita e 4 giorni, qui la storia e le immagini utilizzate sembrano poco centrate. Interessante il fatto che il nome produttore del disco, Polezky, sia scritto sulla copertina accanto all’interprete.

 

Vertigini EP - copertina

LUANA CORINO – VERTIGINI – RED MUSIC 2019

Rap, soul e r’n’b sono gli ingredienti principali di Vertigini, l’ep di Luana Corino, ragazza veneta che prima si faceva chiamare LaMiss. La cosa che colpisce subito, oltre alla rotondità della voce di Luana, è l’ottima fusione di queste sonorità black con la lingua italiana, impresa non facile . L’ep contiene cinque tracce, ognuna che rappresenta una donna con età e storie diverse. Interessante poi scoprire che regia e scenografia del video di Non ti piacevo abbastanza sono state curate dall’artista stessa. Senza scimmiottare i suoi colleghi maschi, Luana si muove bene in un ambito musicale solitamente poco femminile rendendolo invece molto femminile. Una ragazza da tenere d’occhio.

DaBomb

 

 

THE HIGH JACKERS – DA BOMB – MUSIC FORCE/TOKS 2019

Tutti i colori della black music sono inseriti nel godibile primo lavoro degli udinesi The High Jackers, tredici elementi che formano una big band di tutto rispetto, capitanati dal cantante, bassista autore e produttore di tutti i brani Stefano Toboga. La voce calda, nera e avvolgente di Stefano si amalgama bene con il funky di If I don’t have you, Everybody’s burning (qui le simpatie per i Red Hot Chili Peppers sono evidenti) e You made me mad (invece qui siamo più dalle parti di Curtis Mayfield), ma anche con il rock morbido di Going crazy (dove emerge una piacevole somiglianza con il timbro di Ben Harper), con il rock-blues di Stunned and diz, nel delicato soul (stile Stax) di Hush now, ma anche nel rock “scomposto” di Live it, nella jazzy The wrong side of the street, nella semi-rappata This is the sound e così via. Da bomb è un disco con una produzione molto ben fatta, suonato da ottimi musicisti, che dal vivo spaccheranno di sicuro. (Katia Del Savio)

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50 ANNI DI “KICK OUT THE JAMS!”

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Dopo due interviste (una via mail e una via Skype, quest’ultima per il mio libro Un’altra musica. L’America nelle canzoni di protesta), finalmente riesco a spuntare dalla lunga lista delle “cose da fare nella vita” l’incontro con Wayne Kramer, membro fondatore degli MC5, storica band del Midwest legata al gruppo radical White Panther Party di John Sinclair. L’attesa, ci premo fin da subito a dirlo, è valsa la pena. In tour con un gruppo di affiatati amici (Kim Thayil dei Soundgarden; Marcus Durant dei Zen Guerrilla; Brendan Canty dei Fugazi; e Billy Gould dei Faith No More), Wayne Kramer sta portando in giro per gli States e per l’Europa l’album Kick Out the Jams, registrato nell’ottobre del 1968 alla Grande Ballroom di Detroit. L’occasione di celebrare il cinquantesimo anniversario della storica incisione per la Elektra fornisce al sempre militante Brother Wayne la buona scusa per alimentare nel pubblico la voglia di opporsi alle brutture e alle ingiustizie dell’attualità A guidarlo e a guidare i fans allora come oggi c’è la musica, quella più sana, sincera e, lasciatemelo sottolineare, indipendente: <La creatività e l’arte hanno sempre provocato forme di Resistenza e continueranno a farlo.>

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Il concerto punta tutto sulla tracklist di Kick Out the Jams ma non fa mancare agli ascoltatori anche altri brani del repertorio degli MC5. Musicalmente, mi sento tranquillo nel dirlo, la formazione sul palco dell’Alcatraz di Milano suona decisamente all’altezza di quella originaria e a tratti quasi pare mettere la freccia e sorpassare la line-up sessantottina: in questo, senso, Kim Thayil non fa rimpiangere Fred Sonic Smith e la sezione ritmica quasi sempre suona più massiccia e arrabbiata di quella dei tardi Sixties. Un discorso a parte, non me ne vogliano i puristi, va fatto per quel gigante di Marcus Durant, la cui voce pare non temere nulla né dal passato né dal futuro come ben si intuisce da Let Me Try uno dei brani del bis. Un concerto intenso, seppure non lunghissimo, per un pubblico attento e preparato. Poco importano i numeri, in questo caso. Immancabile, alla fine della performance l’incontro con Wayne e la consegna di una copia del mio Un’altra musica. L’America nelle canzoni di protesta tra sinceri abbracci di chi ancora crede di cambiare le cose e scambi di battute militanti. Insomma, una serata in perfetto stile <Kick Out the Jams… Motherfuckers!> (Matteo Ceschi)

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CANECAPOVOLTO, NORMALE, 2018

Normale

Verrebbe da dire una raccolta di impressioni/schizzi sonori che dall’ormai lontano 1996 ci porta fino all’oggi. La discografia del progetto/collettivo catanese Canecapovolto – attivo anche nel campo delle colonne sonore – non ha l’ambizione di cambiare le vostre idee musicali, ma piuttosto quello di rendere il pubblico aperto a forme d’arte sonora che non necessariamente rientrano nel rassicurante formato canzone. Anzi, nelle diciannove tracce si può solo trovare un sentimento “disturbante” in grado di spingere chi si è messo all’ascolto a proseguire brano dopo brano nella speranza di ritrovare un “porto sicuro”. Prendiamo ad esempio Continuum: si ha la netta impressione di essersi imbucati alla celebrazione di un culto sconosciuto che sazia i suoi fedeli a suon di feedback, distorsioni e lancinanti lamenti elettronici. Nulla appare per quel che è sebbene la musica sia tutt’altro che eterea e suoni come mai terrena e terrestre. Il mio invito è quello di concedersi la curiosità di ascoltare Normale almeno una volta. (Matteo Ceschi)

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GROSSO GUAIO PER L’ISPETTORE COLIANDRO

Taiyo &amp; Coliandro

Taiyo/HYST, direi di cominciare dall’imminente episodio della serie L’ispettore Coliandro che andrà in onda mercoledì 14 novembre su RAI2: come ti sei imbattuto nei Manetti Bros e come ti hanno convinto a fare parte del cast di Coliandro? La mia è innanzitutto pura curiosità di un super fan della serie.

E fai bene perché è una delle serie più nerd che ci sono in Italia, quella di carattere più internazionale se vuoi. I Manetti li conosco dal loro esordio, facevo lo yakuza incazzato nel primo cortometraggio che uscì al cinema in un film composito che si chiama De-generazione, poi ho fatto con loro alcuni videoclip, etc. Mi hanno chiesto di fare un provino per questo personaggio sperando che risultassi come loro si immaginavano ed è stato così. Il ruolo è veramente nelle mie corde, mischiando seriosità samurai e ironia, mi sono divertito veramente molto nel farlo.

La frequentazione del mezzo video per te non è cosa nuova. Sei sempre stato interessato – a prescindere dall’esigenza di realizzare video per le tue canzoni – all’aspetto visivo/visuale della vita, correggimi se sbaglio. Disegnatore di fumetti, attore, regista, cos’altro mi sono perso?

Hai perfettamente ragione. In molti sentono la cinematograficità del mio modo di pensare anche nelle canzoni. Tutto parte dal disegno. Da bambino molti dicevano che ero particolarmente dotato. È diventato un vizio. Creare, immaginare e rappresentare in qualsiasi forma e con ogni mezzo. Il problema è che devo combattere ogni giorno con il preconcetto che se uno sa fare molte cose non ne sa fare una benissimo, e col fatto che è oggettivamente difficile collocarmi lavorativamente. Ma credo del mio immaginario e nel set di valori che trasmetto, che è costante in ogni mio progetto, e penso che prima o poi questi preconcetti svaniranno. In America nessuno si stupisce più se un Childish Gambino fa lo stand up comedian, il regista, l’attore e il cantante.. è questione di tempo e di persistenza.

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Questi mesi del 2018 sono stati per te ricchi di eventi: tre, anzi quattro nuovi brani distribuiti sulle piattaforme digitali, il già citato episodio de L’ispettore Coliandro e, se la memoria non mi tradisce, recentemente hai fatto riferimento anche a una web series. Sono tutto orecchie, racconta pure.

Per fartela breve. Alla nascita di mia figlia mi sono preso due anni sabbatici in cui concentrarmi solo su di lei. Ho accumulato idee e voglia di fare ed ora sto eplodendo. Ho mezzo disco pronto e conto di uscire verso febbraio marzo prossimo e nello stesso periodo dovrebbe vedere la luce una Web serie di sono co-autore e regista, dal titolo HELIKON, una sorta di thriller esoterico. Sto realizzando questo progetto con la Grey Ladder una società di Torino fondata da un mio caro amico e sceneggiatore di talento fuori dal comune, ed è solo il primo di mille progetti filmici che stiamo sviluppando. In più, come se fare un disco e una serie non fosse abbastanza, sto lavorando ad un fumetto, sempre scritto con lo stesso sceneggiatore, per cui vorrei mettere su una sorta di crowd funding al più presto, anche li una storia di supereroi ma rivista in chiave TAIYO, cioè molto fuori dagli schemi.
Ho anche un mezzo album di brani solo acustici che vorrei finire entro l’estate. Quindi se pensi che il 2018 sia stato un anno pieno per me, caro Matteo, non sai cosa sta per arrivare. Taiyo Tsunami.

HYST_by Filippo Leonardi

Sul piano dei video musicali hai collaborato anche con tuo fratello Jesto? Com’è lavorare in famiglia? Hai per caso in mente di coinvolgere prossimamente anche tuo padre, un noto attore teatrale e cinematografico, nelle imprese degli Yamanouchi?

Amo lavorare con mio fratello che considero un genio sotto diversi aspetti. Come tutti i geni che si rispettino non è sempre facile, ma ormai ci conosciamo bene anche professionalmente, e lui nel tempo ha maturato una visione lavorativa adulta per cui oggi è molto semplice trovare la quadra. Anche lui è in una fase in cui sta depositando dei capisaldi della sua carriera e mi fa molto piacere che in questa fase importante e delicata sia venuto a chiedermi di aiutarlo. Sa bene che nessuno lo conosce come me e tiene ai suoi progetti come me. Si io voglio coinvolgere mio padre il più possibile nelle mie prossime cose. Non farlo è da stupidi, come avere un tesoro in casa e non mostrarlo agli ospiti.

Taiyo's Videoclip_15 72

A proposito di disegno e fumetti, a quando un videoclip o uno short film di animazione?

E’ un desiderio che ho da tanto, di farmi un video animato da solo, ma ci vuole moltissimo tempo. Spero di avere le condizioni di farlo quanto prima.

In qualità di artista come leggi e interpreti l’attuale situazione politico/sociale del Vecchio Continente?

Come uno dei ricorsi di cui la storia è piena, purtroppo. Sono sempre sconvolto dalla volontà dell’essere umano di ripetere gli errori fatti in passato. Credo sia cambiati alcuni paradigmi e che gli eventi del secolo passato non si potranno ripetere in modo pedissequo, ma spesso ho paura che la mia sia solo una speranza e quindi mi preparo al peggio. Sto adocchiando dei terreni in luoghi isolati del mondo, nel caso si presentasse la necessità di fuggire.

Per il 2019 cosa dobbiamo aspettarci? Un nuovo disco dopo tanto musica fluida sul web?

Uno o due dischi, una serie, un fumetto, forse un film, magari un altro figlio e chi sa cos’altro. Sta arrivando lo Tsunami, non ci sarà riparo.

PHOTOS: Matteo Ceschi (b&w) e Filippo Leonardi (color)

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FOSCARI, I GIORNI DEL RINOCERONTE, LA CHIMERA DISCHI/TERRE SOMMERSE 2018

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L’attacco di Particelle, prima track del disco, parte con vaghi richiami agli Smashing Pumpkins per poi aprirsi gioiosamente una finestra sul mondo pop che molto, e dico molto, deve a quel genio che risponde al nome di Cesare Cremonini. Detto questo il disco di Marco Foscari non lascia così facilmente quella radice rock che evidentemente rappresenta una parte importante della formazione del suo autore: Trasparente ne è un ottimo esempio con la chitarra elettrica di Davide Sparpaglia a sostenerne le idee più audaci. Poi, quando meno te lo aspetti, sul finire del disco, arrivano un paio di canzoni “ibride” dall’atmosfera intimista che mantengono alto l’interesse dell’ascoltatore fino all’ultimo secondo: Eliot con le sue pennellate elettriche strizza l’occhio a Samuele Bersani mentre Te lo confesso si perde placidamente tra un ricordo beatlesiano e improvvisazioni vocali à la Pino Daniele. (Matteo Ceschi)

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ZARA MCFARLANE, ARISE, BROWNSWOOD REC. 2017-18

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Quando mi è arrivato tra le mani Arise, sono rimasto subito incuriosito e non ho lasciato passare molto tempo prima di fare partire l’ascolto. L’impazienza e la curiosità, in questo caso, sono state premiate regalando alle mie orecchie uno dei dischi più interessanti degli ultimi tempi, un lavoro al mio udito in grado di competere per la freschezza dell’approccio con The Source di Tony Allen. Il mood musicale di Zara McFarlane si dipana con eleganza sul confine quasi inviabile che divide l’acide jazz degli anni Novanta dalle incredibili intuizioni dell’allora contemporanea scena di Bristol. La cantante inglese di origini caraibiche fa scendere sull’ascoltatore una gentile bruma profumata che rompe il grigio d’ordinanza – una tinta adatta ormai solo alla Brexit – saturando l’orizzonte con oleose e avvolgenti sfumature che da qui possiamo solo intuire provenire dal ricco universo caraibico. Fussin’ & Fightin’, terza traccia dell’album, è un esempio di questa riuscita forma di meticciato sonoro: la dub degli Aswad rincorre le escursioni dei Massive Attack ma non si dimentica mai dai ritmi sincopati della Giamaica. La McFarlane, d’altronde, propone una musica che è migrante nel suo più intimo DNA, e non potrebbe fare altrimenti. Stoke the Fire, invece, è si dichiara per quello che è: jazz nella sua più moderna incarnazione. Stesso discorso per Allies and Enemies, una composizione semplice ma al tempo stesso potente che pone il “Black Atlantic Jazz” di Zara McFarlane come nuovo metro di paragone per un’intera scena. Mi piace immaginare, per concludere, come sarebbe potuta essere l’esistenza dei protagonisti di The Lonely Londoners (1956) di Sam Selvon se avessero avuto come colonna sonora Arise… la musica d’altronde è un viaggio a cavallo dell’immaginazione… (Matteo Ceschi)

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MADBOX, THIS MACHINE? INSANE!, 2018

MADBOX, THIS MACHINE? INSANE!, 2018

Quando un critico musicale incrocia due volte una band, qualche domanda dovrebbe porsela. Che sia tutto merito del suo infallibile fiuto sonoro o della caparbietà del gruppo, ha poca importanza: quello che rimane è pur sempre la certezza di una seconda volta. I MadBox, citando quasi alla lettera il titolo di uno dei loro nuovi pezzi, Blind Man, seguono ciecamente l’istinto finché questo non dà loro ragione. Energici e un po’ pazzi, i ragazzi milanesi rinverdiscono i fasti di un alternative rock molto hardcore tipico degli anni Novanta statunitensi. I Circle Jerks potrebbero essere un buon riferimento per trovare velocemente le coordinate di un ascolto facile e soddisfacente. Somebody Dead Like You, invece, sembra ricalcare l’aggressività dei Refused e spinge le attenzioni della band lontano dalla California fino alla penisola scandinava. Nel complesso, This Machine? Insane! riconcilia il pubblico con quella voglia di essere, citando appunto i californiani Circle Jerks, “wild in the stress.” (Matteo Ceschi)

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