Tag Archives: Majical Cloudz

MY FAVOURITE THINGS 2015 / ELISA

ELISA

Cominciamo dagli esclusi: Paolo Tarsi, Caterina Palazzi, Teho Teardo. Lavori consigliatissimi, nella loro diversità accomunati dal background colto, dalla ricerca, dalla concezione unitaria (impossibile isolare singoli brani), album quindi non adatti all’ascolto da playlist, tipicamente un po’ distratto, magari anche superficiale. Diciamolo subito: un po’ allergica alle playlist io lo sono, in questa ho inserito semplicemente i brani delle produzioni indie che ho ascoltato di più nel corso dell’anno, che è altra cosa dal dire che sono i più belli, i migliori (alcuni lo sono davvero, altri no). Apro e chiudo con due episodi elettronici di gran classe. Il primo, Bewider (Piernicola Di Muro), lo rubo a Matteo, autore della recensione: Following The River Flow, con la bellissima voce di Francesca Amati, è un delicatissimo crescendo che rispolvera la migliore elettronica anni ’90 e ne restituisce l’anima più poetica. Il secondo, Downtown dei Majical Cloudz, è il pezzo che meglio rappresenta l’ultimo album del duo canadese, autunnale, grigio, malinconico. In mezzo troverete tanto rock, a cominciare da quello degli Ought (nella foto), autori, loro sì, di uno degli album migliori dell’anno, quel Sun Coming Down inspiegabilmente dimenticato in molte classifiche di fine 2015: sound urbano, increspature nervose, andamenti ossessivi, melodie seppellite dall’incessante fluire delle parole, esprimono al meglio l’alienante routine quotidiana presa di mira dalla loro lucida e feroce critica.

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Dirompente, sporco, sprezzante, è il blues-rock lacrime e sangue di Shilpa Ray, mentre freschissimo è il garage rock dei giovani mantovani Bee Bee Sea. Orecchiabilissima Places You Will Go di Patrick Watson, che coi suoi robot innamorati ha allietato molta parte del mio 2015, così come i Gengahr, che sono quanto di più catchy ci sia in circolazione: ho scelto She’s A Witch, che però se l’è giocata fino all’ultimo con Bathed In Light e Heroine. Le belle melodie sono un campo in cui non scherzano nemmeno gli Yuko, dal Belgio, che vi uniscono una gran dose di raffinatezza. Con il bellissimo ritorno di Villagers facciamo una pausa introspettiva: qui trovate Courage, ma andatevi a ascoltare tutto Darling Arithmetic, un album incredibilmente autentico. Ottima vena cantautorale e delicata è anche quella di Simone Olivieri, e per rimanere tra gli artisti nostrani si guadagnano un meritatissimo posto i giovani Syne, sorta di Bluvertigo attualizzati che sorprendono con la ventata di modernità del loro Croma. Dall’Italia anche i sempre più bravi C+C=Maxigross, maestri nel gioco e nella manipolazione, capaci di lavori sempre più complessi e stratificati, tra i pochi ad aver capito l’importanza del non prendersi troppo sul serio per fare musica “popular”, e forse anche nella vita. Buona fine e buon inizio, sempre con noi su Indiana! (Elisa Giovanatti)

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MAJICAL CLOUDZ, ARE YOU ALONE?, MATADOR 2015

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I Majical Cloudz, duo canadese composto dal cantante Devon Welsh e dal produttore e sound designer Matthew Otto, tornano dopo l’ottimo Impersonator del 2013 confermando quanto di bello avevano già mostrato. Are You Alone? è un’esperienza intima, per chi canta e per chi ascolta: la voce profonda di Welsh si muove su testi che sembrano delle confidenze, in cui vengono a galla dubbi e fragilità (di Welsh e di noi tutti), accolti nella più totale e umana comprensione; il rapporto con l’ascoltatore è più diretto che mai, non a caso costruito su una quantità enorme di domande, interrogativi che ti chiamano in causa in continuazione, diretti a te che ascolti e solo a te, stabilendo così una profonda connessione, tanto che alla fine quello che emerge dall’album è proprio questo tentativo cercato, insistito, voluto, di combattere un profondo senso di solitudine con una disperata ricerca di contatto umano. E mentre soltanto occasionali e piccole tracce di sarcasmo permettono di sorridere su un paesaggio così grigio, Matthew Otto appronta un sound lievissimamente pulsante, oscillante tra boccate d’aria (a beneficiarne di più è la bella, toccante ma controllata maestosità di Downtown) e cupezze autunnali, un sound discreto, vagamente consolatorio, sempre curato e coerente con le malinconie autunnali così ben evocate, solo qua e là toccato dall’immissione di elementi di varietà (per esempio i rintocchi di pianoforte e una bella, lontana melodia di sax in Disappeared). Are You Alone? è un album grigio, ma il grigio di quella malinconia in cui a volte piace crogiolarsi un po’. (Elisa Giovanatti)

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