
Nonostante il passare dei decenni la vicenda di Victor Jara, il cantautore cileno torturato e ucciso il 16 settembre 1973, cinque giorni dopo il golpe di Pinochet, viene ancora giustamente ricordata dal mondo della musica. Nel 2000 il cantautore napoletano Daniele Sepe dedicò all’artista un intero album intitolato Conosci Victor Jara?. Ora a omaggiarlo (almeno in un paio di brani) arrivano i Cranchi, formazione padana (i sette elementi provengono da Mantova, Modena e Rovigo), che ha all’attivo due album prima di questo. Il titolo Non canto per cantare riprende proprio il motto di Jara e l’immagine di copertina, realizzata dal pianista del gruppo David Meriggi, si intitola Sogno cileno. I due brani esplicitamente dedicati all’artista cileno sono 11 settembre ’73, data appunto del colpo di stato nel quale morì il presidente Salvador Allende, e Mariposa, ritmata ed evocativa canzone ispirata a El Arado dello stesso Jara dedicata alla libertà, caratterizzata dal suono di un banjo. Per definire il folk del gruppo guidato da Massimiliano Cranchi non si può che riportare le parole con le quali la band si presenta sulla propria pagina web: “E’ canzone d’autore che sa di pianura e di fiume, di gente che vede le montagne ma non le ha mai scalate, che sente il profumo del mare ma non lo ha mai navigato”, definizione che calza alla perfezione per comprendere le atmosfere rallentate, flemmatiche, che i ragazzi riproducono nelle dieci tracce dell’album. Si parte con la ballata esistenziale Il cantico, una serie di preghiere a un “dio che mi dica finalmente chi sono io”, “un dio dei nostri nonni che mi racconti cosa mi sono perso” “il dio degli immigrati che maledica questo inverno” “il dio dei disoccupati che maledica chi sta meglio”, e così via…. Anche in brani dalle tematiche più leggere i Cranchi mantengono una scrittura poetica nel solco della tradizione cantautorale italiana (De Gregori e De André in particolare): “due tavoli distanti noi, mettevano in scena un amore/quando tornai a guardarla, lei era già scesa al fiume/quando provai a pensarla aveva ormai novant’anni/s’invecchia presto ad annegare i sassi”, recita il brano sentimentale L’isola infelice. Ma l’impegno prosegue più avanti con Eroe borghese, titolo che naturalmente richiama la vicenda di Giorgio Ambrosoli, brano coinvolgente non solo per il tema affrontato, ma anche per il suo incalzante rock dal martellante ritornello “Santo subito o criminale/mai eroe prima di morire”. Radici e Storia sono le due colonne portanti di Non canto per cantare, album che contiene anche con Mia madre e mio padre, ispirata a Il vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago. Negli ultimi anni il folk-rock-impegnato (alla Gang, Modena City Ramblers, Yo Yo Mundi, per citarne alcuni), che parla, (qui senza retorica) di operai, partigiani, disoccupati, guerra e libertà era stato messo un po’ da parte dai nuovi cantautori, spinti a comunicare più la propria intimità che a parlare della società. Ben vengano quindi i Cranchi! (Katia Del Savio)
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