Tag Archives: new wave

CON I THIRD SOUND IL TEMPO PERDE SIGNIFICATO

Nemmeno il maltempo li ha fermati! Arrivati in ritardo sotto la pioggia battente all’Arci Bellezza di Milano, dopo un velocissimo sound-check – 10 minuti annunciati dal ruggito del basso di Andreas Miranda – i The Third Sound hanno solo atteso le ultime note del live di Kane Nero per far esplodere subito la sala da ballo con la loro miscela di richiami psichedelici e schegge post-new wave. I Velvet Underground incontrano i Grateful Dead sul palco! Un’epica cavalcata sonora iniziata con un brano strumentale e proseguita con Your Love Is Evol estratto da First Light, il loro ultimo LP per FUZZ CLUB. Il tempo sembra perdere significato… Le chitarre di Hakon Aðalsteinsson e Robin Hughes sono come lancette di orologi impazzite… Perdersi è un piacere… per poi ritrovarsi ai piedi del palco a chiacchierare con il batterista Fred Sunesen e il collega musicista Andreas.

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VERDIANA RAW, WHALES KNOW THE ROUTE, PIPPOLA MUSIC 2016

verdiana raw

Cantautrice, pianista e performer teatrale, la fiorentina Verdiana Maria Dolce allarga l’ensemble del progetto Verdiana Raw (che includeva già Antonio Bacchi alla chitarra e Fabio Chiari alla batteria) grazie all’incontro con Paolo Favati (fondatore di Pippola Music, qui bassista e co-produttore) ed Erika Giansanti (viola, violino, violoncello). Il risultato è un lavoro originalissimo, difficilmente inquadrabile, atipico anche laddove il discorso musicale si convoglia in forme pop-rock più canoniche (Time Is Circular, Amina’s). Molto curato nel sound e negli arrangiamenti, l’album dà spazio a sonorità corpose di piglio rock (emblematica The Disaster) pur mantenendo ben salde le radici nella formazione classica dell’artista. È, tutto sommato, una ballata pop-rock anche On The Road To Thelema, che presenta però un’altra caratteristica tipica della musica di Verdiana Raw: lo sconfinamento frequente nell’esoterico e in una scura new wave. I gorgheggi vocali, i riverberi eterei, i testi oscuri e qualche accento messianico sono evidentissimi qui come nella titletrack (le balene, memoria millenaria del mondo, voce delle emozioni profonde, conoscono istintivamente la rotta dei loro tragitti oceanici e sono il totem attorno a cui ruota il concept del disco), o ancora in Planets, pezzo bellissimo in cui le acrobazie vocali di Verdiana lasciano a bocca aperta, mentre la grazia del suo tocco al pianoforte si combina a meraviglia col lavoro della violista Erika Giansanti. Spazio alla delicatezza e all’evocatività, poi, con Durme Durme (rivisitazione di una ninna nanna sefardita) e la strumentale According To Satie. Disco dalle innumerevoli sfaccettature, Whales Know The Route merita certamente un ascolto. Qui sotto il teaser, per incuriosirvi. (Elisa Giovanatti)

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INDIANA PLAYLIST MARZO

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Ecco a voi l’uovo pasquale di Indiana con 9 sorprese musicali non convenzionali dedicate a orecchie curiose. Buon ascolto con i Kula Shaker, Jenny Penny Full, Primal Scream, Marianne Mirage, Nap Eyes, Manuel Volpe, John Holland Experience, Guignol ed Editors.

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PILLOLE INDIANE, TRE PROGETTI ARTISTICI DA TENERE D’OCCHIO

E’ liberamente ispirato”a Frankenstein di Mary Shelley, Frank (etichetta Dischi Obliqui), l’ultimo lavoro  dei vicentini Nova Sui Prati Notturni (Federica Gonzato, Gianfranco Trappolin, Giulio Pastorello  e Massimo Fontana). Il disco è uscito nel 2014, ma è giunto a noi solo ora, e vista la bravura del quartetto sarebbe stato un peccato non parlarne. I NSPN propongono un interessante, evocativo post-rock: basterebbero i brani strumentali, il cinematografico Elettricità e Victor con il suo sorprendente finale impazzito, a lasciarci trascinare senza meta nel dilatato, viscerale mondo sonoro di Frank, opera rock che il gruppo porta in scena con l’accompagnamento di video e con l’aiuto di una macchina “che macina schermografie fluorescenti su ingranaggi dorati in cilindro di plexiglass”. Dalla new-wave del singolo Code all’hard-rock con venature dark di Seven in mezzo passano suggestioni, graffi, squarci, momenti melodici e follie sonore. Da non perdere.

ErnestLiver

Le Ernest’s Liver non si fermano mai. Dal maggio dell’anno scorso, quando pubblicarono il loro primo, omonimo, EP, hanno continuato a produrre la loro musica e a pubblicarla immediatamente su Bandcamp. L’ultima fresca fatica si chiama Pale Blue Eyes, dove le tre ragazze non nascondono il loro amore per Velvet Underground e Lou Reed, mentre in I bet that you where born arrivano le suggestioni smaccatamente dylaniane. Entrambi i riferimenti artistici sono presenti anche nel resto delle produzioni dei trio formato dall’italo-americana Aileen, voce e chitarra armonica, da Vally (sax, clarinetto, tastiera) e da Gloria (batteria e voce). Le ragazze arrivano da Praticello di Gattatico (RE), ma la loro residenza ufficiale sembra essere il Greenwich Village: il loro primo EP vanta titoli come la folk-rock Allen Ginsberg, la ballata acustica strumentale dedicata alla Pivano Fernanda Revisited o la conclusiva Bob Dylan’s Dream. Nelle scorribande sonore delle Erne’st Liver non mancano brani garage e blues! Ah, il fegato (liver) è quello di Ernest Heminguay.

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“Fiori finti talmente belli da sembrare veri/fiori veri talmente belli da sembrare finti”. Questo è l’inizio dell’album e del brano Avventure umane particolari, un pop divertente che non si vuole schiodare dalla testa. L’album di debutto di Alessandro Casalis è un insieme di cartoline pop-rock spedite dalla vita quotidiana fatta di incertezze (Avventure umane particolari), di abbandoni (La festa), di insicurezze (Invisibile), di bilanci (Questa vita) trattati con leggerezza, ironia e disincanto. In Alieni vestiti da impiegati Alessandro si trasforma  in un cantante folk-rock nel solco della tradizione dylaniana-de gregoriana. L’album contiene anche due brani strumentali: la pillola elettronica L’atterraggio (alieno?) e il conclusivo, etereo, Sunday Morning.

(Katia Del Savio)

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LO-FI POETRY, LO-FI POETRY, 2015

Lo-fi Poetry

Affidano a un EP le loro emozioni, i vicentini Lo-fi Poetry riuscendo nell’intento – non facile, ammettiamolo – di attirare le orecchie della critica. I diretti interessati definiscono la loro musica “poesia a bassa fedeltà”, un’espressione sintetica (come, d’altronde, certi suoni dei Lo-fi Poetry) che pare in grado di spingere l’acquirente disilluso oltre la semplice curiosità alla ricerca di un nucleo sonoro che abbia per lui un senso. Sospesi tra un post-grunge intriso di marginalità e un elettronica che non disconosce la profondità esistenzialista della new wave, i Lo-fi Poetry danno voce alle timide e sparute ambizioni di una contemporaneità schiacciata dall’omologazione e impaurita da ciò che appare e ed è evidentemente diverso. Omossessulità e Ho conosciuto Rimbaud, due biglietti premio per guardare al di là del proprio io e cominciare ad apprezzare l’altro. (Matteo Ceschi)

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QUATTRO PICCOLI CONSIGLI INDIANI

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Oggi vi parlo di alcune interessanti produzioni uscite in queste settimane che meritano di essere segnalate. Ascoltare How to erase a plot (Lady Sometimes Records) è come entrare in un sogno dalla trama poco definita, dai contorni vaghi, uno di quei sogni di cui dimentichiamo quasi tutto al risveglio, ma che ci lasciano sensazioni positive. Tutto questo è opera di Armaud, nome esotico dietro il quale si nasconde un’italiana emigrata in Olanda (Paola Fecarotta) e due musicisti che sono ormai entrati a far parte del progetto, Marco Bonini e Federico Leo. Il trio propone un delicato e ipnotico dreampop cantato in inglese che privilegia l’elettronica, ma non disdegna passaggi acustici. Si chiamano Nova Lumen, vengono da Torino e ci fanno fare un bel tuffo negli anni ’80 con Assurdo Universo, album d’esordio che fa seguito a due EP. Pubblicato dall’etichetta Gente Bella, il disco è ben rappresentato dal singolo (e primo brano) Ambrosia, uscito la scorsa estate: raffinato synth pop con venature new wave; un filone sonoro che sta prendendo piede fra molte band nate negli ultimi anni. Si intitola Portland (Caipira Records/Musica Distesa) ed è stato prodotto da Giuliano Dottori (ex Amour Fou) l’album d’esordio del toscano David Ragghianti: nove affreschi di cantautorato folk-pop da ascoltare accoccolati sulla poltrona con tanto di coperta e fuocherello: disco soffice, con poche impennate (La bella I prati che cercavo, che apre l’album, è la più incisiva) ma decisamente piacevole. Concludo questa carrellata di “consigli della settimana” con Nightingale (Spring Hill Music), l’album, uscito in realtà qualche mese fa, che ha permesso alla sua interprete, Giuditta Scorcelletti, di essere candidata ai prossimi Grammy Awards nella categoria folk. Il delicatissimo lavoro dell’artista toscana è frutto della collaborazione con Alessandro Borgi (chitarra acustica) e con gli statunitensi Michael Hoppé (produttore e compositore incontrato per caso mentre Giuditta suonava per strada a San Giminiano) e David George (autore dei testi). Flauto e violoncello contribuiscono a fornire un’atmosfera fiabesca al tutto. (Katia Del Savio)

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THE YELLOW TRAFFIC LIGHT, TO FADE AT DUSK, WE WERE NEVER BEEN BORING 2015

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Secondo Ep per i torinesi The Yellow Traffic Light, uscito per il collettivo We Were Never Been BoringTo Fade At Dusk regala un’interessante commistione di sogni psichedelici anni ’60 e shoegaze anni ’90. Molto curate le parti strumentali, con le chitarre molto riverberate a costruire scenari psichedelici su ritmiche decisamente post-punk, su cui si inserisce con buone melodie la voce di Jacopo Lanotte, sfacciata quanto basta. Unica eccezione in scaletta è Burger Shot, che per raccontare una storia di emarginazione razziale, alienazione e sconfitta adotta un sound duro e sporco. Più puliti, anche se non immuni da nervosismi, gli altri tre pezzi, a partire dall’iniziale e travolgente Hideaway fino alla lunga cavalcata Fall, che chiude in sfumato 20 ottimi minuti che ci fanno sperare di ritrovare presto all’opera il quartetto. Ma l’episodio più riuscito è forse il singolo Cole Drives Too Fast, che assimila alla perfezione i modelli anglosassoni e li restituisce in una prova di sicura qualità. (Elisa Giovanatti)

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ARTISTI INDIE INSIEME PER IL NEPAL

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Oltre 60 artisti indipendenti dei più svariati Paesi e generi (in prevalenza shoegaze, new wave e rock), su iniziativa della statunitense Patetico Recordings, hanno unito le proprie forze per raccogliere fondi da destinare ai terremotati del Nepal: è nata così la compilation in 3 volumi Rock Back For Nepal, che gode del supporto di alcuni nomi di culto della scena indipendente shoegaze e rock, fra cui Dean Garcia (Curve, SPC ECO), Oliver Ackermann (A Place To Bury Strangers, Skywave), Alexx Kretov (Ummagma), Mark Joy (Lights That Change). Disponibile in Cd e digitale su Bandcamp e Amazon, la compilation vede anche la partecipazione di alcuni artisti italiani: Clustersun, Airrang, Stella Diana, Human Colonies, Novanta, Un-Reason.

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WHITE BIRCHES, DARK WATERS, BIRDS WILL SONG FOR YOU 2015

White Birches

L’opera nata dall’incontro tra Jenny Gabrielsson Mare e Fredrik Jonasson vi si appiccicherà morbosamente addosso. Che la Svezia sia una fucina di talenti in pochi ormai lo ignorano, ma, nonostante ciò, ancora in molti ancora si attardano alla sua scoperta. Nel panorama dell’elettronica più sofisticata in pochi erano riusciti finora ad iniettare in profondità le laceranti proposte della noise e dell’industrial music. Sebbene rimanga percepibile durante tutto l’ascolto un’impronta tipicamente Eighties, quella inconfondibile della prima metà del decennio, Dark Waters spinge le sue lame oscure a fondo nel futuro ampliando ulteriormente il vocabolario della musica elettronica. Le radici dei White Birches sono forti e in salute – i Depeche Mode fluiscono nei Kraftwerk e viceversa – e questo permette loro di scegliere di volta in volta la strada sonora più congeniale da percorrere: Here It Comes parte in sordina per poi esplodere in una trama ritmica à la Radio GaGa; Thousand Yard Stare, invece, accarezza atmosfere più morbide ma non per questo immuni al fascino della notte. Sarebbe un vero peccato se un lavoro simile non circolasse nel nostro paese. (Matteo Ceschi)

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GIOVANNI TRUPPI, GIOVANNI TRUPPI, WOODWORM 2015

CVTruppi

Giovanni Truppi, bizzarro giocatore di parole napoletano, ha confezionato un album (terzo della sua discografia) ricco di contenuti e sorprese. Stai andando bene Giovanni è un energico autoincoraggiamento, che dà una scossa elettrica rock per partire con il piede giusto. Superman è un divertente racconto di un sogno erotico omosessuale, al quale fa seguito, forse non a caso, Lettera a Papa Francesco, nella quale Truppi si rivolge confidenzialmente a Bergoglio, suggerendogli di sciogliere la Chiesa cattolica per ricominciare; per farlo si è ispirato allo scrittore Antonio Moresco, che scrisse una lettera a Papa Ratzinger e che ha anche contribuito direttamente alla realizzazione di questo brano. Alla fine il risultato è più interessante dal punto di vista formale, con quel suo urlare “Francesco!” e “Scioglila!”, che nel messaggio provocatorio in sé. Nel disco spicca la varietà di stili utilizzati: a Pirati – ballata riflessiva nella quale due band suonano il pezzo contemporaneamente, una che si sente nel canale stereo destro e l’altra in quello sinistro, come nel disco Free Jazz di Ornette Coleman – fanno seguito il folle new wave interrotto a metà di Alieno e Conversazione con Marco sui destini dell’umanità, in cui Giovanni esprime i suoi pensieri attraverso una sorta di flusso di coscienza, utilizzando una tecnica velocissima, che ricorda molto i monologhi teatrali di Ascanio Celestini. Cattivella e divertente Hai messo in cinta una scema, canzone accompagnata solo da una chitarra acustica, come a voler sottolineare l’aspetto ludico, originale Tutto l’Universo, storia semiseria dell’umanità, ed Eva, una sua sorta di seguito della precedente, che con la consueta ironia umanizza al massimo sulla prima donna della Terra, ormai cacciata dall’Eden, accompagnandola con un dolcissimo pianoforte. Personaggi, immagini e idee del disco sono raffigurati in una sorta di giudizio universale creato in copertina da Cristina Portolano. Disco eccentrico e piacevolmente strabordante che non passa inosservato. (Katia Del Savio)

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