Tag Archives: Pink Floyd

HANDSHAKE, AN ICE CREAM MAN ON THE MOON, URTOVOX 2020

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Giovani. Toscani, per l’esattezza fiorentini. E pazzi per i Pink Floyd. Così potrebbero scrivere sul biglietto da visita gli Handshake. Il trio formato da Giulio Vannuzzi, Lorenzo Burgio, Tommaso Giuliani sorprende sia per la naturalezza con cui si inserisce nella galassia del rock psichedelico sia per l’evidente voglia di aggiungere la propria visione ad una storia sonora ben radicata nell’immaginario collettivo e ricca di estimatori. Il lavoro è prodotto molto bene da Samuele Cangi e lo si sente fin dall’ascolto del singolo bold//brash finito nei radar della BBC Radio London: non ci sono “eccessi da studio” e tutto suona come dovrebbe suonare. La migliore qualità di An Ice Cream Man on the Moon è la compostezza sonora capace di contenere le sfumature creative del credo psichedelico senza mai scadere nella sterile esaltazione del genere – una conferma viene da Promises, traccia accattivante con le sue atmosfere oniriche stile Kula Shaker. Unica nota dolente la copertina dell’album: anti-estetica e lontana anni luce dalle accattivanti grafiche che hanno accompagnato l’epopea psych. (Matteo Ceschi)

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OPETH, SORCERESS, MODERBOLAGET REC/NUCLEAR BLAST 2016

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Si leveranno orde inferocite allo scoccare della mia affermazione. Ma senza alcun timore mi sento libero e sereno nell’asserire che il nuovo corso degli svedesi Opeth e in particolare l’ultima fatica, Sorceress, sono una gran cosa per l’intero panorama musicale. Comunque la vogliate ora etichettare – “progressive” secondo alcuni – la formazione di Stoccolma prosegue imperterrita nella sua parabola artistica infischiandosene, per fortuna mia, di quanti vorrebbero ancora il quintetto scandinavo inchiodato alle radici death metal. Sorceress suona meravigliosamente tanto da volerci subito tornare su: più attenti alle melodie, gli Opeth danno prova non solo di una notevole maestria tecnica ma anche di un profonda conoscenza della rock contemporaneo. Allora non ci si stupisce se capita di ascoltare perfino echi dei Beatles (Strange Brew), degli Zeppelin (The Seventh Sojourn) oppure dei Pink Floyd (A Fleeting Glance). Il secondo CD della versione deluxe, si apre, a conferma dell’eclettico mood vissuto oggi dal gruppo, con un brano, The Ward, dal sapore californiano in stile America! Vi pare poco? A volere aggiungere parole alle note degli Opeth si potrebbe spendere pagine su pagine, ma il web, si sa, esige una puntuale brevità nella comunicazione. Ed allora, come lasciarvi cari lettori, se non esortandovi sinceramente a perdervi tra i solchi dei Sorceress alla scoperta di mondi sonori che potrebbero persino risultarvi famigliari. Il 2016, per il sottoscritto, si chiude con l’album a lungo atteso. (Matteo Ceschi)

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C+C=MAXIGROSS, FLUTTARN, TROVAROBATO/VEGGIMAL 2015

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Dopo Singar (cantare) e Ruvain (far rumore) – e dopo un fantastico An Instantaneous Journey con Martin Hagfors, che trovate qui – Fluttarn (fluttuare) chiude la trilogia della Lessinia e apre nuove prospettive nella carriera dei C+C=Maxigross. L’album arriva dopo centinaia di date live in tutta Europa, in cui la formazione ha aperto le porte a diversi musicisti (lo stesso Hagfors, Phill Reynolds, Miles Cooper Seaton e molti altri) e a sperimentazioni continue, mostrando ancora una volta una grande propensione alla ricerca. Ritroviamo molti di questi artisti – e qualche altro nome, Marco Fasolo in primis – in Fluttarn, in cui si scovano anche una miriade di interscambi con gli amori del passato (dai Beatles alla scena di Canterbury, dai Pink Floyd ai Grateful Dead), ma in cui emerge soprattutto il presente luminoso dei C+C. Born Into It, Bruce Skate e Every Time I Listen To The Stones ci fanno immediatamente gioire e siamo solo all’inizio. L’attitudine naif della band è sempre viva, nel gioco e nella manipolazione dei materiali musicali, nelle linee a volte sghembe, nel sapore ironico di certi scorrazzamenti fra i generi, ma è un gioco raffinatissimo, che solo una tecnica solidissima e una piena consapevolezza possono rendere così facile e spontaneo. Forme complesse e anarchiche, fantasie rapsodiche, colpi di genio e arrangiamenti finemente curati sono il coloratissimo risultato di questo libero fluttuare sulle note con tocco quasi magico. Sono tutte sensazioni confermate non solo nell’impegnativo terzetto conclusivo (straordinarie An Afternoon With Paul, Moon Boots e Rather Than Saint Valentine’s Day Part III), ma in ogni singolo brano di questo Fluttarn, in uno svolazzare leggero che fa completamente dimenticare il lavoro che sta dietro a un simile risultato. Ma ormai l’abbiamo capito: non si tratta affatto di uno scherzo. (Elisa Giovanatti)

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THE STRANGE FLOWERS, PEARLS AT SWINE, AREA PIRATA 2015

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Perle ai porci. Sono quelle che gli Strange Flowers hanno distribuito in qualche decennio di carriera, forse senza trovare quello che sarebbe stato un giustissimo riconoscimento. Altre 11 perle arrivano con questo settimo album, magistrale riassunto del percorso della longeva band pisana, ma anche portatore di qualche novità, come il fondamentale ingresso nella line up di Giacomo Ferrari alle tastiere, che rinnova con molta sensibilità e senza scossoni le sonorità dei nostri. Amanti di pop beat, garage rock, psichedelia, Beatles, Neil Young, Pink Floyd, sixties e seventies, troveranno di che divertirsi fra queste 11 bellissime tracce: i vertici del disco si toccano con Watching The Clouds From A Strawberry Tree e la conclusiva, più dilatata, Twins, ma ben oltre la media sono davvero tutti i brani di Pearls At Swine, a cominciare da Alice Stealing Rainbows e Rose Lynn, che nella loro diversità sono entrambe gioielli di melodia e arrangiamenti. Un album vero, sincero, che risveglierà in voi ben più di un ricordo musicale. (Elisa Giovanatti)

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AL BERKOWITZ, A LONG HEREAFTER/NOTHING BEYOND, TEMPEL ARTS 2015

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È raro vedere una band spagnola varcare i confini nazionali, ancora di più se questa band suona un singolare miscuglio di folk, rock e psichedelia: per fortuna però accade ad Al Berkowitz, formazione madrilena capitanata dal cantante e polistrumentista Ignacio Simón, che pubblica finalmente a livello mondiale questo secondo LP, a poco più di un anno di distanza dall’uscita in Spagna. Ed è con una certa sorpresa che ci troviamo così di fronte a una band dalla precisa e unica identità musicale, mantenuta anche nei continui e disinvolti passaggi da un genere musicale all’altro; arrangiamenti preziosi e armonie (vocali e strumentali) variegate e raffinatissime sono le caratteristiche su cui si imperniano gli 8 pezzi di A Long Hereafter/Nothing Beyond, da quelli che suonano in una sorta di morbido e soave folk psichedelico (You And I, How Could We Get Ourselves Lost?, Sensitive, Not Dramatic) fino alle più istrioniche prove di Magical Cynical, Farewell, My Lady e soprattutto The Frenchman And The Rabbitman: inventiva, multicolore, quest’ultima raccoglie in 8 minuti idee e materiali che sarebbero bastati a costruire un intero album. Rielaborando con sensibilità influenze molteplici (da Robert Wyatt, cui rimandano certi delicatissimi andamenti delle linee vocali, a Nick Drake, dai Beach Boys ai Pink Floyd) gli spagnoli riescono a proporre un suono unico e originale, trovando anche un difficile equilibrio fra stile ed emozione. Speriamo di risentirli presto all’opera. (Elisa Giovanatti)

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