Tag Archives: pop d’autore

KISHI BASHI, OMOIYARI, JOYFUL NOISE 2019

Le sonorità accattivanti di Omoiyari non vi devono ingannare: c’è della protesta dietro tanta grazia, c’è dolore, c’è un percorso umano e storico che ha ormai assolto la storia, ma non la dimentica. Americano figlio di immigrati giapponesi, Kaoru Ishibashi – in arte Kishi Bashi – riflette in questo suo quarto album sul terribile episodio dell’internamento di oltre 110 mila nippo-americani in campi di prigionia statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale. “Non volevo che questo progetto parlasse di storia, ma piuttosto dell’importanza della storia, delle lezioni che possiamo ricavarne”, ha dichiarato l’artista, che infatti incentra le sue canzoni non tanto su una denuncia esplicita, ma piuttosto su vicende individuali (la madre di Theme for Jerome (Forgotten Words), il giovane di Summer of ’42) o su relazioni (A song for you, per esempio, che con delicatezza tocca il tema della separazione e della lenta erosione della memoria). Non è difficile, tuttavia, intravedere dietro a tutto ciò anche continui riferimenti all’attuale amministrazione americana, le sue ansie xenofobe, i suoi muri, che anzi di fatto hanno avuto la funzione di vero e proprio input per questo album. E del resto pur essendo ispirato ad una vicenda storica particolare, avvenuta negli anni ’40, Omoiyari convoglia un messaggio che non ha tempo, a partire proprio dal titolo: si tratta infatti di una parola giapponese dal significato complesso che ruota attorno a quella che per noi è l’empatia, la comprensione degli altri, la compassione, il pensare agli altri, insomma una disposizione umana che per Kishi Bashi è l’unico modo per superare conflitti, xenofobia, intolleranza, paura. Musicalmente parlando Omoiyari è frutto di una scrittura solida ed elaborata, fatta di stratificazioni minuziose e sovrapposizioni delicatissime di voci e strumenti, che la produzione (più sobria rispetto ai lavori precedenti) mette in risalto in maniera pulitissima. Il violino resta lo strumento prediletto da Bashi, che qui abbandona certi virtuosismi a favore di una musica che suona più sobria, sincera, a cuore aperto. Lo stile, certo, resta quello di un pop sempre leggermente sopra le righe (“barocco” nei precedenti album), lussuoso e raffinato, ma meno appariscente ed ostentato. Omoiyari è un lavoro godibilissimo ma non a cuor leggero, perché anche il pop sa parlare di cose serie. (Elisa Giovanatti)

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FOSCARI, I GIORNI DEL RINOCERONTE, LA CHIMERA DISCHI/TERRE SOMMERSE 2018

Foscari

L’attacco di Particelle, prima track del disco, parte con vaghi richiami agli Smashing Pumpkins per poi aprirsi gioiosamente una finestra sul mondo pop che molto, e dico molto, deve a quel genio che risponde al nome di Cesare Cremonini. Detto questo il disco di Marco Foscari non lascia così facilmente quella radice rock che evidentemente rappresenta una parte importante della formazione del suo autore: Trasparente ne è un ottimo esempio con la chitarra elettrica di Davide Sparpaglia a sostenerne le idee più audaci. Poi, quando meno te lo aspetti, sul finire del disco, arrivano un paio di canzoni “ibride” dall’atmosfera intimista che mantengono alto l’interesse dell’ascoltatore fino all’ultimo secondo: Eliot con le sue pennellate elettriche strizza l’occhio a Samuele Bersani mentre Te lo confesso si perde placidamente tra un ricordo beatlesiano e improvvisazioni vocali à la Pino Daniele. (Matteo Ceschi)

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SAMMY OSMAN, GERICO, MACISTE DISCHI 2015

gerico

Da un’angolatura spesso surreale il cantautore italo-somalo Sammy Osman racconta colori, profumi e suoni della realtà di ogni giorno, e se sembra voler evadere danzando su ritmi senza sosta, dall’altro lato è intimamente ancorato alla quotidianità, per via di tutti quei piccoli dettagli che ritroviamo nei suoi testi: vicoli chiassosi, notti insonni, sapori e incontri restituiscono con vividezza ambienti urbani, terre di mare, mondi lontani e vicini. Gerico, infatti, è un freschissimo viavai di mondi e influenze, che ha il suo centro nel Mediterraneo – esplorato da ogni sua sponda, da quelle a noi più familiari fino a includere sonorità e suggestioni ispaniche, gitane, magrebine e balcaniche – ma non disdegna incursioni in terre più lontane, Russia (Davai Tavarish) e Oriente (Salomè) in primis. Menestrello dalla voce calda, Osman si diverte e ci diverte fra spontanee serenate (Boom Boom), toni fantasiosi (La sposa cadavere), ritmi pulsanti (Vengo a prenderti così), accompagnato da una sezione strumentale estremamente capace e raffinata (clarinetto, percussioni, contrabbasso, chitarra e cori), che lo segue in una perfetta adesione di intenti. Il rischio di perdersi fra mille suggestioni era altissimo, e invece la formazione appare in pieno controllo. Un esordio caleidoscopico e maturo. (Elisa Giovanatti)

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JOE VALERIANO: UN MAESTRO BLUES TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE

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Cari amici, cliccate sulla copertina per l’ottavo numero di INDIANA MUSIC MAGAZINE! Un doppio numero, questa volta, per i mesi di maggio e giugno, in cui vi regaliamo una lunga e densa intervista al bluesman Joe Valeriano e una bella chiacchierata con Luca Madonia: nuovo album (Lonesome Road) e tante esperienze da raccontare per il primo, e poi un botta e risposta tra passato e futuro col fondatore dei Denovo (anche per lui nuovo album appena uscito). Buona lettura, restate sintonizzati su Indiana!

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NANA BANG!, IN A NUTSHELL, GURUBANANA 2014

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La voce di Andrea Fusari suona limpida come quella di un cantastorie di altri tempi tanto da non avere bisogno di sofisticati arrangiamenti dietro cui celare una timidezza tutta da artista. I Nana Bang!, parliamoci chiaro, sono quel che suonano, e riescono ad essere al contempo assolutamente casserole pur mantenendo alla luce del sole una poesia dai contorni pop che talvolta ci ricorda la lezione dei Beatles (Yesman e Green Valentine). Che si tratti di brani dall’ossatura scarna che si rifanno a una certa tradizione tutta americana della folk song o di composizioni più baldanzose aperte alle avances del synth, il duo produce una musica assolutamente singolare per il piatto standard del paesaggio sonoro delle sette note. Sarebbe azzardato etichettarli come “avanguardia”, piuttosto appare sensato vestire Andrea Fusari e Beppe Mondini con degli sgargianti panni picareschi. In a Nutshell, un disco assolutamente e volutamente avventuroso. (Matteo Ceschi)

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