Tag Archives: trip-hop

ZARA MCFARLANE, ARISE, BROWNSWOOD REC. 2017-18

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Quando mi è arrivato tra le mani Arise, sono rimasto subito incuriosito e non ho lasciato passare molto tempo prima di fare partire l’ascolto. L’impazienza e la curiosità, in questo caso, sono state premiate regalando alle mie orecchie uno dei dischi più interessanti degli ultimi tempi, un lavoro al mio udito in grado di competere per la freschezza dell’approccio con The Source di Tony Allen. Il mood musicale di Zara McFarlane si dipana con eleganza sul confine quasi inviabile che divide l’acide jazz degli anni Novanta dalle incredibili intuizioni dell’allora contemporanea scena di Bristol. La cantante inglese di origini caraibiche fa scendere sull’ascoltatore una gentile bruma profumata che rompe il grigio d’ordinanza – una tinta adatta ormai solo alla Brexit – saturando l’orizzonte con oleose e avvolgenti sfumature che da qui possiamo solo intuire provenire dal ricco universo caraibico. Fussin’ & Fightin’, terza traccia dell’album, è un esempio di questa riuscita forma di meticciato sonoro: la dub degli Aswad rincorre le escursioni dei Massive Attack ma non si dimentica mai dai ritmi sincopati della Giamaica. La McFarlane, d’altronde, propone una musica che è migrante nel suo più intimo DNA, e non potrebbe fare altrimenti. Stoke the Fire, invece, è si dichiara per quello che è: jazz nella sua più moderna incarnazione. Stesso discorso per Allies and Enemies, una composizione semplice ma al tempo stesso potente che pone il “Black Atlantic Jazz” di Zara McFarlane come nuovo metro di paragone per un’intera scena. Mi piace immaginare, per concludere, come sarebbe potuta essere l’esistenza dei protagonisti di The Lonely Londoners (1956) di Sam Selvon se avessero avuto come colonna sonora Arise… la musica d’altronde è un viaggio a cavallo dell’immaginazione… (Matteo Ceschi)

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CUCINA SONORA, EVASIONE, TOYS FOR KIDS RECORDS 2017

Evasione come fuga da un luogo, come liberazione da una condizione opprimente o come leggerezza, disimpegno? Sono, forse, tutte queste cose insieme quelle che si trovano nell’album di Cucina Sonora, il progetto solista di Pietro Spinelli, toscano trasferitosi a Berlino, artista di solidissima formazione classica e di più recenti studi di sound engineering, che ha condiviso il palco con artisti come Aucan e Godblesscomputers. Dialogo fra classico e moderno, fra pianoforte ed elettronica, all’insegna della leggerezza e della solarità, Evasione procede prevalentemente su ritmi incalzanti, sostenuti, una sorta di moto perpetuo in cui Spinelli si trova molto a suo agio (fino a correre il rischio, scampato per un soffio, di ripetersi), ma regala emozioni anche laddove rallenta e lascia emergere sprazzi di umanità e preziosa sensibilità: accade per esempio nella bellissima Dissolution, o anche in Cocktail, unica traccia non strumentale del lavoro, che rivisita con classe il trip-hop degli anni ’90 anche grazie alla voce calda e morbida di Ginevra Guerrini. Una voce si era già sentita per la verità nella precedente Sistema Lunare, che esplora uno dei classici tópoi della tradizione elettronica (la luna, appunto, così come gli astri e lo spazio) avvalendosi della registrazione del “Landing a man on the moon” speech di J.F. Kennedy (’61), così come di altri elementi umanizzanti e robotici insieme (conto alla rovescia, procedure di controllo ecc.). Una sensazione di cerebralità senza freddezza pervade tutto il disco, ed era forse il traguardo più difficile da raggiungere per questo tipo di musica: complimenti quindi a Spinelli, alle sue dita che saltellano e si rincorrono sul pianoforte, al suo approccio leggero – che pure nasconde un grande lavoro – e alla sua voglia di giocare. (Elisa Giovanatti)

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MARA REDEGHIERI, RECIDIVA, LULLABIT 2017

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A 15 anni dallo scioglimento della band reggiana che ha fatto un pezzo della storia della musica indipendente italiana, gli Üstmamò, la notizia che Mara Redeghieri sarebbe uscita con un disco solista ha procurato una certa emozione a chi, come me, non è più una ragazzina. Con tanta curiosità mi sono quindi dedicata all’ascolto di Recidiva, un album che mantiene quel filo che collega il presente al passato, fusione fra elettronica e pop, che negli anni ‘90 rappresentava una ventata di novità (eravamo in pieno trip-hop), amalgamate con la voce caratteristica di Mara, qui utilizzata spesso con toni teatrali, come ad esempio in Pestifera (cattura della), accompagnata da ritmi reggae tanto amati proprio in quegli anni, nella title track e in Nella casa, pezzi totalmente recitati. Non a caso, fra le attività che la Redeghieri ha intrapreso in questi anni di silenzio discografico c’è stata la recitazione. Augh, che apre il disco, richiama lo stile dei CSI, compagni di merende degli Üstmamò, con i quali registrarono anche un album live (insieme anche ai Disciplinatha), ma aggiorna ai nostri tempi il sarcasmo sulla condizione degli sfruttati (badanti, lavoratori in nero per 18 ore), così come nell’inquietante, cinematografico e commovente Uomo nero, che descrive con inquadrature efficaci il viaggio dei migranti dal deserto fino all’attraversamento del Mediterraneo con i barconi (uno dei brani più riusciti, non solo per il tema toccato). Recidiva racconta storie, come quella di Cupamente, che sotto le mentite spoglie di un brano leggero racconta di un avaro palazzinaro, crea atmosfere, agrodolce in Anni luce, giocosa in Essere umana. Insomma, l’album è un continuo stimolo concettuale, sonoro e vocale, e la forza di Mara, dopo tanti anni resta soprattutto l’uso spericolato, divertito, sicuro e originale della sua voce. (Katia Del Savio)

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BON.NOT, TRE, AUTOPRODUZIONE 2016

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In questo inizio 2017 mi trovo ad ascoltare un disco che recupera dichiaratamente frammenti di gruppi che hanno fatto grande la scena indipendente italiana nei gloriosi anni ’90 (CSI, Posse varie, ecc.) associandoli a elettronica sempre di quegli anni (trip-hop in particolare) e a sonorità più contemporanee. Nonostante le atmosfere crepuscolari e i testi poco consolanti (tutti rigorosamente in italiano), quello che esce dalla mescolanza di beat, campionamenti e strumenti è un suono fresco, che fonde elementi industriali con il fattore umano. I Bon.Not, che da due sono diventati quattro, dimostrano di sapere esattamente ciò che vogliono, attenti ai dettagli, come si evince dall’autopresentazione pubblicata sul sito bonnotband.it, non scimmiottando l’elettronica trendy un po’ fine a se stessa, ma utilizzando tutti gli strumenti a disposizione di un artista oggi, per comunicare qualcosa, per inventare qualcosa, o almeno per provarci. La voce ossessionante di Ruberemo, i suoni martellanti de La preda, l’apparente distensione di Fino in fondo, il suono angosciante e claustrofobico de L’impiccato sono i momenti più interessanti dell’ep. (Katia Del Savio)

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CRLN, CAROLINE, MACRO BEATS 2016

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Prima voce femminile nelle file della Macro Beats, CRLN-Caroline-Carolina propone un interessante elettro-pop con sfumature black. La voce delicata della giovane cantautrice di San Benedetto del Tronto scivola lungo le cinque tracce dell’EP accompagnata da raffinate sonorità elettroniche, vicine al trip-hop (Via da noi), che simulano il fruscio del vinile (Distanze, che a sorpresa contiene anche un frammento reggae), che donano atmosfere cupe e nostalgiche (Un viaggio senza fine, brano dalle venature ambient a cui ha collaborato anche Yakamoto Kotzuga-Giacomo Mazzucato, noto “bedroom producer”), che strizzano l’occhio all’acid jazz nella solare Parlami di te e che ipnotizzano nella conclusiva Berlino Est. Prodotto da Marco Macro, l’EP è un ottimo e originale biglietto da visita per la futura carriera di Carolina. (Katia Del Savio)

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INDIANA PLAYLIST MARZO

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Siete curiosi di conoscere quali sono le canzoni preferite di INDIANA? Ecco qui gli 11 gustosi brani dell’INDIANA PLAYLIST DI MARZO. Da Haunt me, ballata scarna e poetica della nuova scoperta di Jack White, Oliva Jean, alle melodie saliscendi di The Mountain Fox dei vicentini Di Oach. In mezzo un mare di emozioni provenienti da casa nostra e fuori dalla finestra, tutte rigorosamente emanate da artisti Indie! Fate scorrere la barra di Spotify, ascoltate e condividete.

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CASA DEL MIRTO: SU INDIANA IL TRIO RIVELAZIONE DI STILL

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Cliccate sulla copertina! È online da oggi il nuovo numero di INDIANA MUSIC MAGAZINE, dedicato questa volta alla Casa Del Mirto, trio rivelazione di Still, che si racconta in una bella intervista ripercorrendo l’avventura dell’ultimo album e spaziando fra musica, arte figurativa e molto altro. Yuko, Ibeyi e Di Oach sono le recensioni che completano questo numero 6; non poteva mancare il nostro INDIANA MUSIC CONTEST che guadagna ulteriori cinque mesi. Via col download, è gratis!

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IBEYI, IBEYI, XL RECORDINGS 2015

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Per il disco di debutto delle giovanissime gemelle Lisa-Kainde e Naomi Diaz si è mossa addirittura la XL Recordings (Radiohead, Adele, Jack White, ecc.) Le due diciannovenni, una pianista e cantante e l’altra percussionista, sono figlie d’arte: il padre Miguel “Anga” Diaz era percussionista (maestro di conga) nei Buena Vista Social Club, ma Lisa-Kainde e Naomi giurano di aver iniziato a comporre musica solo dopo la sua morte, avvenuta quando avevano 11 anni. La molteplice provenienza culturale è molto importante per comprendere la loro musica: nate a Parigi, trasferitesi per un po’ a Cuba, dove sono cresciute nella cultura Yoruba, ovvero lingua, religione e tradizioni che gli schiavi deportati da Nigeria e Benin portarono con sé nei Caraibi e in Brasile. Ora vivono di nuovo nella capitale francese con la mamma franco-venezuelana. Un miscuglio così intrigante che non poteva che trasformarsi in una musica ricca di suoni e riferimenti. Così le due sorelle (Ibeyi significa proprio gemelle), molto diverse caratterialmente e anche nei gusti musicali, fra una discussione e l’altra, e con l’aiuto di Richard Russell della XL, hanno costruito un album che fonde spiritual, elettronica, r’n’b, hip-hop, soul, jazz, musica etnica afro-caraibica e molto altro (In Think of you si sentono echi di Ryuichi Sakamoto), unendo in modo molto interessante tradizione e modernità, anche all’interno di ogni singola canzone (River, ad esempio, ha una ricchezza di suoni e di generi sorprendente, così come Mama Says, che rispolvera trip-hop, con l’aggiunta di soul, il tutto accompagnato da un delicatissimo pianoforte). Ibeyi è cantato in inglese, in francese e nella lingua Yoruba e la voce eterea di Lisa ricorda a tratti quella di Bjork e di Sinead O’Connor (ascoltare Oya per credere), ma anche Naomi, che con le sue percussioni fornisce un ipnotico ritmo fondamentale a tutto l’album, contribuisce vocalmente, ad esempio nella finale canzone a cappella intitolata proprio Ibeyi. Le ragazze hanno inserito coraggiosamente molte emozioni legate a dolorose vicende personali, che rendono il disco intenso, oltre che denso. Da non perdere! (Katia Del Savio)

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BEWIDER, A PLACE TO BE SAFE EP, VOLUME UP 2015

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Un lavoro, quello del compositore Piernicola Di Muro, che colpisce per la gentilezza e il garbo del suono. Le sei tracce dell’EP intitolato A Place to Be Safe vogliono ripercorrere, senza nessuna intenzione apologetica, le gesta dell’elettronica anni Novanta con il preciso intento di svelarne anche a posteriori ogni più piccola e poetica piega. Un’operazione certamente ambiziosa e non priva di insidie che nelle intenzioni dell’autore andava compiuta per amore della musica. Conscio delle difficoltà Di Muro si è fatto affiancare dalla cantante Francesca Amati, già Amyncabe e Comaneci, e dalla Brandenburgisches Staatsorchester riuscendo a creare un’onirica e perfetta colonna sonora, a metà tra trip-hop, elettronica e classica, per una porzione del nostro recente passato. Con il progetto BeWider, credetemi, arriverete a scoprire che anche la fredda elettronica possiede un’anima. (Matteo Ceschi)

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CASA DEL MIRTO, STILL, GHOST RECORDS 2014

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Non fatevi ingannare dal nome un po’ rustico. Casa del Mirto è un trio composto dal fondatore Marco Ricci (voce, sampler, synth), da Raffaele Ricci (sintetizzatore) e da Luigi Segnana (basso e voce) che propone sonorità elettroniche, chill out, trip-hop, e tanto altro, creando atmosfere eteree che poco corrispondono all’immagine rurale del nome che si sono scelti. Naturalmente musica elettronica non significa mancanza di emozioni e Still, terzo lavoro in studio e primo per la preziosa Ghost Records, lo dimostra attraverso brani come la delicatissima Invisibile, che ospita l’artista californiana Avalon Omega, voce e stile trip-hop che ricorda la Skye dei Morcheeba. Non a caso il brano è stato scelto come primo singolo dell’album, la cui copertina è un’immagine realizzata addirittura da Michael Stipe e che quelli della Casa del Mirto hanno usato naturalmente con il permesso dell’ex R.E.M. E’ invece opera della pittrice newyorkese Alyssa Monks l’immagine della copertina dell’album, che ben rappresenta le sensazioni liquide e gelatinose che il disco sprigiona in ogni sua traccia (vedi in particolare Last blue wind). Prima di svilupparsi nelle attuali direzioni musicali il progetto di Marco Ricci si concentrò sulla musica da club e sulla house in particolare; qualche reminescenza di queste sonorità è ben presente, in chiave rivisitata nel brano molto eightees  Pressure o nella ritmata What I see inside of me. Ma è la cosiddetta IDM (intelligent dance music) nata negli anni ’90, a fare da motore a Still, specialmente in brani come A picture of (con i suoi sorprendenti cambi di rotta) e in Last blue wind, mentre scavando sotto Butterfly si trovano tracce di pop, preponderanti anche in Reflex e nelle melodie dell’avvolgente Where You Stand. Bello, infine, l’uso del pianoforte ad aprire e chiudere il disco con Paralyzed e con la titletrack. Still è un disco da ascoltare e riascoltare per lascirasi trasportare da ogni sua piega sonora ed emotiva. Il disco verrà pubblicato nel Regno Unito a gennaio. Questa recensione è presente anche nel nostro foglio di informazione n. 2 scaricabile nella sesione Magazine. (Katia Del Savio)

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